5 febbraio 2020

FLATLANDIA di Edwin A. Abbott


Un giorno un amico mi ha regalato FLATLANDIA, un libro che come sottotitolo riporta “racconto fantastico a più dimensioni”. Confesso che se non avessi temuto la classica domanda Ti è piaciuto il libro che ti ho regalato? probabilmente non avrei nemmeno iniziato a leggerlo. Mi aspettavo di trovarmi di fronte ad una storia di fantascienza, con UFO e improbabili mostriciattoli in un mondo spaziale.
Invece no.


Il libro si apre spiazzando subito il lettore, catapultandolo in un posto molto particolare. La voce narrante è un abitante di questo luogo ed inizia dichiarando: “…Chiamo il nostro mondo Flatlandia, non perché sia così che lo chiamiamo noi, ma per renderne più chiara la natura a voi, o Lettori beati che avete la fortuna di abitare nelle Spazio”.
Perbacco! mi sono detta. Vuoi vedere che adesso l’extraterreste diventa il lettore?
Questo incipit mi ha incuriosito al punto che sono andata avanti, leggendo poi l’intero racconto tutto d’un fiato.
La presentazione continua “…Immaginate un vasto foglio di carta su cui delle Linee Rette, dei Quadrati, dei Triangoli, dei Pentagoni, degli Esagoni e altre Figure Geometriche, invece di restar ferme al loro posto, si muovano qua e là, liberamente, sulla superficie o dentro di essa, ma senza potervisi immergere, come delle ombre, insomma – consistenti, però, e dai contorni luminosi. Così facendo avrete un’idea abbastanza corretta del mio paese e dei miei compagni…”.
Sembra assurdo impostare un racconto così, o almeno a me era parso all’inizio, ma con queste due frasi (ho capito in seguito) l’autore ha indicato dei punti, delle regole fisse, entro le quali si sarebbe svolta la storia. È stato come quanto, da bambini, si gioca a “facciamo finta di…?”. Una linea impostata all’inizio ci permette di immedesimarci in un personaggio, in un luogo o in una situazione che nella realtà non esiste. Se una bambina si trasforma con la fantasia in una principessa, lei parlerà, si muoverà e farà tutte le cose che, nella sua immaginazione, fa il suo personaggio. E chi gioca con lei, deve per forza ammettere di avere a che fare con una vera principessa.
Una volta “accettato” di trovarsi in un luogo inconsueto, ho visualizzato subito i personaggi suddivisi in vari gruppi sociali e mi è sembrato ovvio che più lati aveva un abitante di Flatlandia, più esso era considerato importante. Le case, il modo di relazionarsi, la vita stessa ha assunto una caratteristica particolare, addirittura assurda se si fosse svolta al di fuori di Flatlandia
Partendo da questa breve presentazione del luogo e dei suoi abitanti, l’autore ha raccontato la sua storia. Semplice, quasi banale, nella prima parte del libro. Si descrive dettagliatamente la vita e le relazioni a Flatlandia, compresa la Rivolta Cromatica. In un paese piatto (di forma e di fatto) un evento sconvolgente poteva essere solo l’introduzione dei colori. Una gran trovata. Forse è da qui che nasce il modo di dire “…ne combina di tutti i colori”!
Bellissima la descrizione delle donne che ho giudicato tra le più piacevoli del romanzo. Senza differenza di ceto, “…una Donna è un ago, essendo, per così dire, tutta punta, almeno alle due estremità. Si aggiunga a ciò la sua facoltà di rendersi praticamente invisibile quando vuole, e vi renderete conto che in Flatlandia una Femmina è una creatura con cui c’è assai poco da scherzare…”. Buffo pensare che una tale concezione delle donne possa esserci anche nel paese di Flatlandia. Ma sono sempre così pungenti le donne?
La seconda parte racconta della scoperta, da parte del personaggio voce narrante, che esistono altri mondi oltre a quello a due dimensioni dove è sempre vissuto lui, da buon Quadrato. Una rivelazione sconvolgente, cui come lettrice ho partecipato con emozione perché ormai immedesimata nella vita a due dimensioni. Solitamente ci si aspetta un colpo di scena leggendo un racconto, ma essendo già in un mondo particolare, non immaginavo ci potesse essere dell’altro.
Finita la lettura, sono tornata indietro andando a dare un’occhiata alla premessa (che avevo colpevolmente saltato) per avere notizie sull’autore. Sono rimasta sbalordita quando ho scoperto che il racconto è stato scritto 120 anni fa! Sì, è un’opera del 1882. Ed è questo aspetto che ha dato ancora più emozione a quanto avevo appena finito di leggere: la fantasia non ha tempo e le emozioni non hanno confini.

La grandezza di questo libro è di saperci accompagnare in luoghi impossibili, facendoci credere che sia tutto normale, per poi tornare alla normalità, anche credendo che sia una cosa impossibile. 

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