Un
giorno un amico mi ha regalato FLATLANDIA, un libro che come
sottotitolo riporta “racconto fantastico a più dimensioni”.
Confesso che se non avessi temuto la classica domanda Ti è
piaciuto il libro che ti ho regalato? probabilmente non avrei
nemmeno iniziato a leggerlo. Mi aspettavo di trovarmi di fronte ad
una storia di fantascienza, con UFO e improbabili mostriciattoli in
un mondo spaziale.
Il
libro si apre spiazzando subito il lettore, catapultandolo in un
posto molto particolare. La voce narrante è un abitante di questo
luogo ed inizia dichiarando: “…Chiamo il nostro mondo
Flatlandia, non perché sia così che lo chiamiamo noi, ma per
renderne più chiara la natura a voi, o Lettori beati che avete la
fortuna di abitare nelle Spazio”.
Perbacco!
mi sono detta. Vuoi vedere che adesso l’extraterreste diventa il
lettore?
Questo incipit mi ha incuriosito al punto che sono andata avanti, leggendo poi l’intero racconto tutto d’un fiato.
Questo incipit mi ha incuriosito al punto che sono andata avanti, leggendo poi l’intero racconto tutto d’un fiato.
La
presentazione continua “…Immaginate un vasto foglio di carta
su cui delle Linee Rette, dei Quadrati, dei Triangoli, dei Pentagoni,
degli Esagoni e altre Figure Geometriche, invece di restar ferme al
loro posto, si muovano qua e là, liberamente, sulla superficie o
dentro di essa, ma senza potervisi immergere, come delle ombre,
insomma – consistenti, però, e dai contorni luminosi. Così
facendo avrete un’idea abbastanza corretta del mio paese e dei miei
compagni…”.
Sembra
assurdo impostare un racconto così, o almeno a me era parso
all’inizio, ma con queste due frasi (ho capito in seguito) l’autore
ha indicato dei punti, delle regole fisse, entro le quali si sarebbe
svolta la storia. È stato come quanto, da bambini, si gioca a
“facciamo finta di…?”. Una linea impostata all’inizio ci
permette di immedesimarci in un personaggio, in un luogo o in una
situazione che nella realtà non esiste. Se una bambina si trasforma
con la fantasia in una principessa, lei parlerà, si muoverà e farà
tutte le cose che, nella sua immaginazione, fa il suo personaggio. E
chi gioca con lei, deve per forza ammettere di avere a che fare con
una vera principessa.
Una
volta “accettato” di trovarsi in un luogo inconsueto, ho
visualizzato subito i personaggi suddivisi in vari gruppi sociali e
mi è sembrato ovvio che più lati aveva un abitante di Flatlandia,
più esso era considerato importante. Le case, il modo di
relazionarsi, la vita stessa ha assunto una caratteristica
particolare, addirittura assurda se si fosse svolta al di fuori di
Flatlandia
Partendo
da questa breve presentazione del luogo e dei suoi abitanti, l’autore
ha raccontato la sua storia. Semplice, quasi banale, nella prima
parte del libro. Si descrive dettagliatamente la vita e le relazioni
a Flatlandia, compresa la Rivolta Cromatica. In un paese piatto (di
forma e di fatto) un evento sconvolgente poteva essere solo
l’introduzione dei colori. Una gran trovata. Forse è da qui che
nasce il modo di dire “…ne combina di tutti i colori”!
Bellissima
la descrizione delle donne che ho giudicato tra le più piacevoli del
romanzo. Senza differenza di ceto, “…una Donna è un ago,
essendo, per così dire, tutta punta, almeno alle due estremità. Si
aggiunga a ciò la sua facoltà di rendersi praticamente invisibile
quando vuole, e vi renderete conto che in Flatlandia una Femmina è
una creatura con cui c’è assai poco da scherzare…”. Buffo
pensare che una tale concezione delle donne possa esserci anche nel
paese di Flatlandia. Ma sono sempre così pungenti le donne?
La
seconda parte racconta della scoperta, da parte del personaggio voce
narrante, che esistono altri mondi oltre a quello a due dimensioni
dove è sempre vissuto lui, da buon Quadrato. Una rivelazione
sconvolgente, cui come lettrice ho partecipato con emozione perché
ormai immedesimata nella vita a due dimensioni. Solitamente ci si
aspetta un colpo di scena leggendo un racconto, ma essendo già in un
mondo particolare, non immaginavo ci potesse essere dell’altro.
Finita
la lettura, sono tornata indietro andando a dare un’occhiata alla
premessa (che avevo colpevolmente saltato) per avere notizie
sull’autore. Sono rimasta sbalordita quando ho scoperto che il
racconto è stato scritto 120 anni fa! Sì, è un’opera del 1882.
Ed è questo aspetto che ha dato ancora più emozione a quanto avevo
appena finito di leggere: la fantasia non ha tempo e le emozioni non
hanno confini.
La
grandezza di questo libro è di saperci accompagnare in luoghi
impossibili, facendoci credere che sia tutto normale, per poi tornare
alla normalità, anche credendo che sia una cosa impossibile.
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