La
stazione è grande. Impersonale. Le gente passa, chi è qui va di là,
chi è là corre di qua, tutto un andare e venire senza tregua. Un
caos disordinato che, tuttavia, segue una sua logica: assomiglia alla
vita. Alla mia.
Passo
le giornate in un susseguirsi di impegni, doveri, incombenze,
necessità, correndo da un lato all'altro della città o, talvolta,
fermo a una scrivania che mi sta stretta. Momenti infarciti di
tensioni (tante) e soddisfazioni (sempre rare) con treni che passano
veloci, fermandosi solo per scaricare persone che si fermano il tempo
di scambi lavorativi. Ormai per me hanno tutte lo stesso volto e la
stessa voce, mucche da mungere, con educazione, per il mio
sostentamento. No, non mi sento in colpa, non faccio loro del male, è
solo che li vedo così i miei clienti. Non riesco a cogliere
l'umanità che, forse, c'è dietro ad ognuno di loro. Ma non è
importante: io offro la mia professionalità, e su questo nessuno può
eccepire nulla, tutto il resto non conta. Giornate, minuti, ore,
settimane che passano veloci scivolandomi addosso, lasciando tracce
indelebili che si sommano all'infinito. Un peso che mi fa sentire
vuoto.
Guardo
l'orologio. Sono arrivato in anticipo, forse troppo, ma non ce la
facevo a rimanere chiuso in ufficio. Il telefono, le segretarie, i
clienti, i pensieri, tutto a incrociarsi senza ordine nella mia
testa. Mi sentivo stretto in un guscio di noce toppo piccolo. E sono
uscito.
Decido
di dirigermi alla banchina, in modo di essere pronto ad accoglierla.
Attendo il treno che mi porterà lei Non sono sicuro che ci sarà, è
stata una scommessa la mia, come quella che ho fatto con me stesso
quando, per la prima volta, ho deciso di cercarla.
Era
un'idea, un pensiero che mi ronzava per la testa nei brevi momenti in
cui i problemi mi lasciavano un attimo di respiro. Di lei ricordavo
qualche flash che mi portava ai tempi della scuola, una sensazione di
benessere che negli anni tornava a solleticarmi. Forse nella mia
mente, lei è il sogno che mi fa uscire dalla realtà.
Il
tempo con lei è rallentato, come in una bolla. Gli attimi, le ore, i
giorni non passano mai, ma assieme volano in un lampo. Non volevo
andasse così. Non era previsto.
Alzo
lo sguardo a osservare i treni: arrivano fischiando e cigolando, si
fermano, persone scendono, facendo spazio a quelle che salgono, poi
ripartono mentre un altro ne arriva e si ricomincia. Sembra di essere
in un ritornello senza fine, una scena che ricomincia sempre allo
stesso punto, un filmato di pochi minuti che si ripete in un loop
infinito. Rassicurante e inquietante allo stesso tempo. Non c'è modo
di cambiare qualcosa: è così e basta. Come la mia vita, incanalata
su rigidi binari da cui non riesco, non posso allontanarmi.
Attendo
il treno che mi porterà lei. I minuti passano lenti. Troppo. Non
dovrei essere qui. Faccio a malapena in tempo a seguire le mille
incombenze quotidiane, quelle a cui non posso esimermi, quelle che si
aggiungono al lavoro, e ora invece sono qui in cerca di un sogno che
non so nemmeno se posso permettermi di avere. Il tempo: un lusso per
me, qualcosa che non devo sprecare in amenità, che non riesco a
dedicare a me stesso, che non mi è concesso investire in qualcosa di
solamente mio. No, non è giusto. Che io viva così e che porti lei
in questo vortice di dannazione. Lo so, ne sono consapevole.
Il
treno mi porterà lei. Perchè ho provato a rinunciarci, senza
riuscirci. Lei è l'aria che respiro, un soffio di vita, una stella
che illumina la mia notte oscura. Fosse anche solo una cometa che
non passerà per altri mille anni, lei arriverà. E mi porterà con
sé per un istante o per un secolo. No, non era previsto tutto
questo, era solo una scommessa: chissà se lei si ricorda di me,
chissà se è ancora come la ricordo io. Poi il vortice mi ha preso,
sollevandomi da terra. Un tornado che non sapevo nemmeno potesse
esistere, che mi regala la vita e al tempo stesso me la toglie perchè
non poter vivere come vorrei, come sarebbe giusto fare, mi toglie il
fiato.
Il
tempo scorre, assieme ai treni, alle persone con i loro bagagli, ai
bambini e ai portantini, ai cani al guinzaglio e ai passeggini spinti
da mamme trafelate. Il tempo passa, e io sono qui.
Fermo
sulla banchina, attendo il treno che mi porterà lei.
FINE
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