30 aprile 2012

13. IL MIO PREZZO - Read & Think



   


   Baratto, compravendita, prestito, donazione, deposito, pegno. Ogni tipologia di prestazione, intercorsa tra due o più individui, è oggetto di scambio: io do qualcosa in cambio di qualcos’altro.
   Alfred Marshall, John Maynard Keynes: economisti vissuti a cavallo del secolo scorso e che ricordo di aver studiato per le loro importantissime teorie economiche di cui, purtroppo, ho solo brandelli di reminiscenze scolastiche.

   Anno scolastico 1980. Studiavo la teoria della domanda e dell’offerta, che suddivideva i beni in primari tipo acqua e cibo, secondari e voluttuari. Diceva che per ogni tipo di bene, a seconda della sua collocazione nella scala delle necessità e della sua quantità disponibile, ognuno era disposto a pagare un prezzo più o meno alto per averlo. Il mio professore di economia, per farci meglio intendere l’importanza di tale teoria, si era addirittura esibito (lui che riteneva la lavagna una specie di quadro per coprire una macchia nella parete dell’aula) in una rappresentazione grafica della teoria con tanto di assi cartesiani: poneva sulla retta delle ascisse, quella orizzontale, la quantità dei beni disponibili e sulla retta delle ordinate, quella verticale, il prezzo che una persona era disposto a pagare per averli.
   In pratica, più raro era il bene, maggiore era il suo prezzo e viceversa. Ad esempio, diceva, in un deserto quanto sareste disposti a pagare per un bicchiere d’acqua? Sicuramente un prezzo diverso rispetto a quello che potrebbe esservi offerto alla fonte di una risorgiva.
   Oggi mi sono chiesta: questa teoria che rappresenta la domanda di beni e servizi in un sistema economico nel suo complesso, formulata per rappresentare la potenzialità di sfruttamento della capacità produttiva globale di un certo sistema economico, può essere applicata anche ai beni morali? In un’epoca in cui la morale sembra essere “una palla al piede” anziché un valore, che prezzo dareste ai vostri principi?
   La domanda può sembrare assurda: chiunque risponderebbe, sdegnato,”IO non ho prezzo!”. Ipotizziamo: dobbiamo fare una commissione urgente e magari l’unico parcheggio libero è a pagamento… non abbiamo monete… nessun vigile nei dintorni …tanto ci metto pochi minuti… Un sospiro e via, senza pagare. In quel momento azzittire la nostra morale, passare sopra a un principio, è costato pochi centesimi.
   Altro esempio: al parco divertimenti, passano gratis i bambini alti meno di un metro, allora prendiamo la piccolina, alta ormai quasi un metro e venti, e le urliamo: Annuccia, stai seduta sul passeggino e, magari, prendi il ciuccio in bocca! La bimba, così camuffata, passa gratis. Qui il prezzo è maggiore, magari anche venti euro!
   In alcuni posti di lavoro (pubblici e privati) esiste un compenso in denaro (indipendente dallo stipendio mensile o simili) che viene assegnato solo a chi si distingue. Soldi, magari un migliaio di euro o anche molti di più (a seconda di ruolo, anzianità ecc…) destinati a qualcuno, non a tutti. Il “bene” è decisamente più importante, il “prezzo da pagare” pure. In che modo è possibile raggiungere tale bene? Distinguendosi. Ma cosa siamo disposti a fare per essere “notati”?
   Ricordo l’anno 1981 (estate in cui ho dato gli esami di maturità). Due ragazze, compagne di classe. Belle e consapevoli di esserlo, ma con una “intelligenza” limitata: fino a quel momento erano giunte con la fatica del proprio corpo (e non parlo del “sudore della fronte”!) e io, studiosa e appassionata (nonché non così avvenente come loro), contavo sull’equità dell’esame e di un giudizio finale per riequilibrare le sorti di anni di ingiustizie e umiliazioni personali. Ma niente. Le mie compagne ottennero voto più alto del mio: l’adrenalina dell’esame le aveva, finalmente, trasformate. Avevano assimilato alla perfezione il concetto di domanda e offerta. A me, negli anni, è rimasta la dignità e la stima di me stessa.
   C’è chi, sogghignando ogni qualvolta lancio strali contro una dignità venduta, ipotizza che la mia è una storia tipo “la volpe e l’uva”. Sicuramente, come la volpe, guardo l’uva e la desidero. Anche io avrei voluto voti migliori o premi che ritengo di meritare, ma forse non sono ancora disposta a barattare la mia dignità e buttare al vento i miei principi.
   Sì, sono fortunata: in questo momento, non mi sento ancora in mezzo al deserto.



Susanna 02.06.2010

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