19 aprile 2012

10. IN SALUTE E IN MALATTIA - Read & Think


…prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita.
Non ricordo se questa si la formula completa, non so nemmeno dire, in questo momento, se sia presente solo nel rituale cattolico o anche nel rito civile, ma sicuramente ricordo questa frase detta all’altare della chiesa nel giorno in cui mi sono sposata.

Mi aveva colpita e, mentre la recitavo, guardando negli occhi il mio lui, tenendo la sua mano e infilandogli l’anello (quadrato!) che avevamo scelto per l’occasione, la mia solita immaginazione era partita con un video-movie in cui, a velocità schizofrenica, passavano scene di noi due in varie età e situazioni più o meno critiche. È durato tutto poco più di qualche secondo: nel tempo di una frase ho visto (immaginato) tutta la mia vita futura. Quello è stato il momento in cui mi sono chiesta: ce la farò? In quel momento l’anello al dito si è trasformato in una angusta stanza trasformandomi in claustrofobica. Tremarella? Improvvisa mancanza di incoscienza giovanile? Consapevolezza. Sì, questo è il termine che userei adesso. La consapevolezza che da quel momento io sarei stata nelle sue mani e lui nelle mie.
Impaurita. Felice. Claustrofobica. Consapevole. Ho sospirato e l’ho baciato. Decisa.
Sono passati anni, molti anni. Di gioia e di dolore, di salute e malattia, di amore e onore. Ma soprattutto di lavoro e fatica. Perché un rapporto a due si costruisce assieme: credendoci, lottando, amando, piangendo, ridendo e, a volte, anche sbagliando.
Cosa significano, realmente, le promesse di matrimonio? Non la voglio mettere sul piano religioso, non ne sarei capace e non mi ci ritrovo. Per me sono state un flash del futuro e ricordarle, nel tempo, mi sono servite a dare solidità ai momenti fragili e ai miei dubbi, un modo di guardarmi dentro per capire cosa volevo dalla mia vita e, soprattutto riguardo alla vita di coppia, se mi sentivo sempre (ancora) decisa.
Ora, sempre più forte e più decisa, mi ritrovo talvolta ad ascoltare persone che vivono nel dubbio il loro rapporto di coppia. Non sono una consulente matrimoniale, non sono un prete, non so nemmeno se chi mi sta di fronte appartiene alla mia stessa religione (che tento di seguire moralmente senza, però, essere praticante), non sono un assistente sociale o un avvocato matrimonialista (o si dice divorzista?), forse sono semplicemente una persona che sa ascoltare e, in questa veste, l’unica cosa che mi sono sentita di dire è stata: tu ci credi nelle promesse?
Penso che, in quest’epoca di take-away e fast-food anche il rapporto di coppia venga relegato a un ruolo di mordi-e-fuggi. Non c’è tempo per ragionare, non c’è tempo per soffrire o amare. Si prende tutto il meglio e, quando arriva il lato difficile, si lascia. Come il marito della mia collega che, di fronte a un esaurimento nervoso della moglie, alza le mani e dice “io non capisco, quindi non ti voglio più vicino a me”, oppure  come un conoscente che, dopo anni di matrimonio, vuole mollare perché ha scoperto quanto è difficile la vita con una moglie di un’altra razza.
Non voglio affermare che ogni matrimonio debba essere “per sempre”, ma a volte ho l’impressione che si tenda a scegliere la via più semplice.
Siamo negli anni della comunicazione globale, internet avvicina persone in una maniera che, solo pochi anni fa, era impensabile avvenisse. Le amicizie si moltiplicano, le storie si accavallano, spesso dichiariamo amore quanto, verosimilmente, sarebbe più logico parlare di desiderio. Una amica, inciampando nelle pieghe del suo matrimonio, si è creata una storia parallela. Che dura da dieci anni. Che mai si evolverà, come nemmeno il suo matrimonio. Prende il meglio da entrambe le storie, mi racconta.
Questo stile di vita, per nulla anomalo, molto più diffuso di quanto si possa immaginare, ha fatto andare il mio pensiero a ritroso, e ho ricordato Pier Giulio, un amichetto delle elementari. Pier Giulio era uno dei pochi fortunati (forse l’unico tra quelli che conoscevo io!) a poter portare a scuola per merenda i biscotti "Ringo", quelli con la farcitura di cremina al latte in mezzo ai due biscotti. Lui, immancabilmente, apriva i biscotti e leccava solo la cremina. I biscotti li rimetteva nel sacchetto. Per risposta, al nostro stupore, rispondeva che dei due biscotti, quello nero e quello bianco, mangiava solo la parte migliore, quella più dolce. Il resto (che, per fortuna, non buttava) lo sgranocchiava con sufficienza, durante il giorno.
Ieri ho incontrato Pier Giulio in piazza. Sono passati molti anni e, tra abbracci e sorrisi, ci siamo raccontati la nostra vita. È stato un incontro davvero piacevole: lui non è cambiato affatto. Lui, della vita, lecca solo la cremina a latte, quella più dolce. Il resto, dice lui, lo conserverà per dopo.
Non si è mai sposato.

Susanna  24.05.2010

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