19 marzo 2012

1. IL PRIMO RICORDO

 
Correva l’anno 1965…
Suor Teresita prende l’orologio a cipolla che porta appeso al collo, come una collana, e si alza dalla cattedra. Questo è il segnale!  Il pomeriggio, dopo il pisolino, si va a giocare sulla corte lastricata. Si esce dall’aula in fila per due, tenendosi per mano, senza fare confusione. Suor Teresita è molto attenta e se qualche bambino fa il monello, tutta la classe rimane dentro: è già successo e ormai abbiamo tutti capito come funziona qui alla scuola materna.  A volte riesco a fare la furba ed evitare il sonnellino. È sufficiente rimanere ad occhi chiusi, con la testa poggiata alle braccia conserte sul banco, senza fare rumore e poi, non è importante che io dorma davvero: io sogno, sì, ma ad “occhi aperti”. 

Oggi è una bella giornata e il sole investe tutta la corte. Preferisco non correre troppo perché non mi piace sentirmi bagnaticcia. Sotto il grembiulino bianco ho solo una felpina leggera ma appena corro un po’ inizio subito a sudare, quindi evito giochi troppo scalmanati. Ma quelli troppo fermi mi annoiano. Quindi…
«…Mamma Chioccia va al mercato e un pulcino ha scordato… Mamma Chioccia va al mercato e un pulcino ha scordato… Mamma Chioccia va al mercato e un pulcino ha scordato…» A uno a uno, tutti i bambini che si tenevano per mano formando un lungo biscione, si staccano e rimangono disseminati nella zona di gioco. Guardinghi, con un sorriso di sfida: quando l’ultimo pulcino verrà “scordato” da Mamma Chioccia arriverà il lupo cattivo che cercherà di “mangiare” quanti più pulcini possibile. Tutti scappano e quando raggiungono Mamma Chioccia sono salvi. Il momento più bello del gioco è quando l’ultimo pulcino, ormai rimasto solo in campo, deve vedersela con il lupo cattivo. Tutti attorno, ormai raggiunta Mamma Chioccia, fanno il tifo: chi per il pulcino, chi per il lupo. Io di solito faccio la parte del pulcino e cerco di rimanere per ultima. Apposta. Mi dà una strana sensazione rimanere da sola, in mezzo alla corte e sfuggire al cattivo. Mi piace questo gioco perché vinco sempre. Io sono grande, più alta degli altri bambini e nei giochi vinco sempre. Quando facciamo le squadre sono sempre la prima bambina ad essere scelta e anche i maschi mi cercano quando giochiamo perché non sono una frignona: io sono grande e i bambini grandi non piangono. Mai. Lo dice sempre Suor Teresita. È bello essere grandi.
Suor Teresita controlla il suo orologio. Quando chiama a raccolta, dobbiamo correre subito. È arrivato il momento di tornare dentro, andare in spogliatoio a cambiarsi: tra poco arrivano i genitori e si va a casa. Nello spogliatoio ogni bimbo ha il suo armadietto e sulla porta non c’è scritto il nome perché non tutti sanno leggere, ma c’è un simbolo. Questo stesso simbolo è ricamato sul grembiule, sull’asciugamano, sul tovagliolo e su ogni altra cosa necessaria, così ogni bimbo sa qual è la sua roba. Il mio è rappresentato da due ciliegie: mi piacciono le ciliegie. Rosse, dolci, con il gambo e le foglioline verdi. Bei colori, buon sapore. Sì. È proprio un bel simbolo il mio. Dentro l’armadietto appendo il grembiulino, inserisco le pantofoline rosse, prendo i miei sandaletti, quelli blu con gli occhi, e poi lo chiudo. Sono facili da mettere i sandaletti: basta infilare la striscietta nella fibbia e fermarla con quel ferretto che si infila in uno dei buchini. Devo solo fare attenzione perché il sandaletto non deve essere né troppo stretto né troppo largo, ma ormai vicino al buchino giusto è rimasto un segno e non si sbaglia più. Quando siamo pronti ognuno si siede nella panca, quella che corre sotto tutti gli armadietti. E si aspetta.
I primi ad andare via sono i bambini del pulmino. Sono fortunati loro: escono prima che suoni la campanella. Montano nel pulmino, quello grigio con tanti sedili e finestrini, e l’autista li porta a casa.  I genitori, invece, devono attendere che suoni la campanella perché altrimenti non si apre il cancello e loro non possono entrare. Poi,uno alla volta, entrano e le suore ci chiamano. Di solito io e Germana siamo sedute vicino perché quando arriva il suo papà con la sua Millecento nuova, prende entrambe e ci porta a casa assieme. Ma oggi lei non c’è. Forse è malata, ma non so.
Sono stanca. Tutti i bambini sono già andati via e io sono ancora qui. Suor Teresita guarda l’orologio e mi sorride.
«Andiamo, c’è un bel sole. Aspetteremo fuori che arrivino a prenderti».
Mi lascia a bocca aperta, Suor Teresita: non l’ho mai vista così sorridente e rilassata. Forse adesso è così perché tutti i bambini se ne sono andati a casa e l’asilo è ormai deserto e silenzioso.  Si dirige verso il pozzetto, al centro della corte, si siede sul gradone ed estrae da non so bene dove un libricino nero. Alterna la lettura silenziosa a un sorriso nella mia direzione. Lei pensa che io non me ne accorga, ma io vedo che prende spesso il suo orologio. Sembra quasi che giochi con la catenina che lo regge, ma in realtà controlla l’orario. Io mi sto annoiando. Non c’è nulla da fare qui in corte: non si possono portare i giochi (quelli devono stare in sala o in aula) e non ci sono altri bambini. Vedo solo altre suore che attraversano la corte e si dirigono verso una zona dell’asilo dove non sono mai stata. Inizia a farmi male la pancia e mi bruciano un po’ gli occhi.
Suor Teresita chiude il suo libretto, lo ripone dove lo aveva preso (tra le pieghe della sua gonna?) e mi prende per mano. Il sole è andato dietro il tetto e sulla corte è tutta ombra.
«Andiamo dentro. È tardi e inizia a fare freddo. Andiamo in direzione.».
Ho paura. Solo i bambini cattivi vanno in direzione. E quando escono piangono. Io non sono cattiva. E non piango mai: sono grande, io. La mano di Suor Teresita stringe, non molla la presa, guidandomi senza incertezze verso la Direzione. La porta della Direzione è grande, con dei vetri che però non lasciano vedere attraverso. Si scorgono solo dello ombre che fanno un po’ paura. Molti bambini hanno raccontato cose indicibili, ma in questo momento mi ricordo solo che qualcuno parlava della sedia alta e nera e del bastone… Perché Suor Teresita mi vuole portare lì? Perche mamma e papà non mi vengono a prendere? Sono cattiva? Ho fatto qualcosa? Sono in punizione? Inizio a rallentare, non voglio mi porti in Direzione, ma lei mi tira e io non riesco a capire perché. Alzo lo sguardo verso di lei. Vorrei dire qualcosa, ma ho una cosa nella gola che me lo impedisce, come se qualcuno mi stesse stringendo il collo. La pancia fa sempre più male e non riesco quasi a tenere gli occhi aperti da quando mi bruciano.
«Su, da brava. Cammina. Devo andare un momento in Direzione. Va bene, aspettami qui ma non ti muovere.»
Rimango nel corridoio, ferma immobile, mentre Suor Teresita viene inghiottita dal buio nella Direzione. La porta si chiude e dal vetro vedo la luce accendersi e disegnare un’enorme ombra nera. La sento parlare ma non so con chi: non sento altre voci, forse nella stanza non c’è nessuno. Con chi parla? Chi c’è in Direzione? Sento distintamente il mio nome seguito dalle parole presto, anzi subito. Lei sta usando quel tono, quello che ha quando è davvero molto arrabbiata e fa paura solo a guardarla. Quale sarà la mia punizione? Quella che arriverà presto, anzi subito. Non avevo mai sentito il mio cuore fare così tanto rumore.
«Tutto sistemato, adesso vieni con me.»
Sistemato cosa? Andare dove? Io sono grande, ma non come Suor Teresita: è lei che comanda,  non posso disubbidire. Devo seguirla, ma non deve accorgersi che ho gli occhi bagnati. Mi passo velocemente la manica sul viso. Mi guida su per una scala di legno fino in una stanza dove ci sono tante altre suore. Sono tutte vestite allo stesso modo, tutte uguali, tutte sedute attorno a un tavolo con delle tazze e del pane.
«Tutto a posto?»
«Sì Madre Superiora. Tutto sistemato. Arriverà presto, anzi subito! Vieni tu, siediti qui vicino a me.»
Io tengo la testa bassa e mi accuccio su una seggiolina un po’ in disparte. Vedo le suole borbottare qualcosa, una specie di litania che non finisce più. Poi silenzio.
Un rumore improvviso mi fa sussultare.
«Ci siamo, vieni che andiamo.»
Suor Teresita mi prende per mano e mi trascina nuovamente giù per le scale. In fondo al corridoio scorgo una figura e in un lampo il cuore mi si apre: è papà!

Suor Teresita, dopo il solito pisolino, guarda il suo orologio a cipolla e, dopo aver constatato che siamo già in fila per due, ci accompagna fuori.
 «…Mamma Chioccia va al mercato e un pulcino ha scordato… Mamma Chioccia va al mercato e un pulcino ha scordato… Mamma Chioccia va al mercato e un pulcino ha scordato…»
Io guardo gli altri bambini che mi chiamano per il solito gioco, ma rimango ferma. No, non mi piace più questo gioco. Perché Mamma Chioccia si deve dimenticare i suoi pulcini al mercato? Salgo sul gradone del pozzo, chiedendo se qualcuno vuole giocare con me a pietra alta. Lo preferisco. Perché quando sono sopra un gradino o un’altra cosa alta nessuno mi può toccare. E sono salva. È questa la regola!
Non ho più giocato a Mamma Chioccia e ho imparato a non piangere mai. Sono grande, ormai.



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