10 marzo 2015

IL PERMESSO DI PIANGERE



Quando ero piccina, all'asilo, le suore dicevano "i bambini grandi non piangono". E io ero grande.
Il pianto è la voce dei deboli, così mi è stato insegnato. E io non sono debole.
Davanti agli altri non si deve mostrare le proprie fragilità. E io non sono fragile.
Quando il groppo mi sale alla gola e gli occhi mi bruciano, riesco solo a pensare che sono grande e non sono ne fragile ne debole. Ricaccio indietro le lacrime, ma un bruciore mi scende nelle vene, e passando dal cuore arriva allo stomaco. Come lava, che lascia una scia infuocata. Un dolore sordo. 
Ricordo quando da bambina correvo con la bicicletta. Un attimo di distrazione, forse semplicemente inesperienza, e cadevo a terra. La mia carne che strusciava sull'asfalto. Le ginocchia, talvolta l'intera coscia, si riempiva di sangue misto a polvere. Mio padre, senza tante cerimonie, prendeva la bottiglia di alcool che teneva sempre sottomano a disposizione per pulire i vetri, per sgrassare l'affettatrice della sua bottega di alimentarista, per togliere qualche etichetta appiccicosa e anche per medicare la figlia maldestra. 
Non c'era modo di sfuggire. A lui e alla bottiglia di alcool. 
Il ricordo del bruciore è ancora  vivo nella mia mente, come quello del mio impegno di far uscire meno lacrime possibili. Lacrime che, scivolando sulle gote, bruciavano il mio viso come l'alcol sulle ferite, non so se a causa del dolore o per l'umiliazione di non riuscire a trattenerle. 
Fino a quel giorno. Quando, con il braccio sbucciato dal polso al gomito, l'unico liquido a scivolare sulla mia pelle era quello del disinfettante. Nessuna lacrima. Credo sia stata la prima volta. Il giorno in cui ho imparato a piangere dentro. Il giorno in cui ho imparato a vivere il mio dolore in solitudine, senza condividerlo con nessuno. 
Ma il pianto interno è corrosivo. Ciò che non si riesce a buttare fuori rimane dentro, diventa quasi parte di sè. Un peso dell'anima. 
Vorrei riuscire a buttare fuori tutto, per ripulirmi da tutto il nero che è in me, per trovare la serenità e la spensieratezza che non ho mai avuto. Ma gli anni, tanti, sono passati portandosi con se le epoche giuste per essere allegri, spensierati, sereni... 
Forse mi basterebbe riuscire a piangere. Ma chi può darmi il permesso?


Susanna 10/03/2015






Inviato da iPad

1 commento:

  1. te stessa ovviamente! ci sono momenti in cui bisogna permettersi di fare ciò che ci hanno insegnato di non fare, di dimostrare ecc... un sano pianto è liberatorio come valvola di sfogo, anche nel segreto della propria stanza... :) domani è un altro giorno...

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