4 giugno 2012

COME UN ANGELO - 7 - ULTIMO

Come un angelo
(…i bancari hanno un’anima?)




7.      Un angelo

Un nuovo cliente entra in banca.
Si rivolge al primo impiegato che incontra, facendo una domanda che tutti, ormai, sono abituati a sentire da quando sono diventata la referente per la clientela privata in agenzia.
«Anna, un signore ha chiesto di te. L’ho fatto accomodare nell’ufficio due.»
Raccogliendo il mio miglior sorriso mi dirigo con passo fermo verso il salottino in fondo, quello che chiamiamo ‘ufficio numero due’ per distinguerlo dal numero uno, che si trova dall’altro lato della hall. Sono passati un bel po’ di anni da quando ho iniziato come cassiera, ma anche se con un ruolo diverso non ho mai perso la voglia di  contatto con il pubblico. 

 Al mio passaggio, i tacchi non infieriscono sul pavimento di marmo, come invece succede alle altre impiegate.  Con il passare del tempo ho acquisito, assieme alla padronanza del mio ruolo anche la consapevolezza di me stessa. Sento che gli uomini mi guardano e devo ammettere che la cosa non è spiacevole, se non va oltre ai limiti. I colleghi, scherzando, mi chiedono se io abbia un nuovo tipo di overcraft non ancora brevettato al posto delle suole, che mi permette di camminare senza sfiorare il terreno. Altre volte capita di sentire che, parlando tra loro, si dilunghino in mille apprezzamenti ipotizzando addirittura di avere a che fare con un angelo. Un angelo biondo, dicono, con dei diamanti al posto degli occhi e perle che mi riempiono il sorriso. Ma questi complimenti spesso si bloccano nel momento in cui si accorgono della mia presenza: sanno che questo tipo di osservazione deve durare poco.
Arrivata all’ufficio due chiudo la porta a vetri dietro a me, in modo da concedere un po’ di privacy alla persona con cui ho appuntamento. Ma, appena incrocio il suo sguardo, ammutolisco. Per la prima volta, dopo tanti anni,  non so come impostare il colloquio. Mi sento stranamente imbarazzata.
«Mi chiamo Michele Antoni. Mi serve una cassetta di sicurezza», inizia il cliente, continuando poi a presentarsi e a spiegare la motivazione della sua richiesta.
Il signor Antoni è un uomo di mezz’età, dall’aspetto gradevole. Statura media, abiti classici, mani curate. Un normale uomo d’affari, come se ne vedono tanti in banca. Ma emette una strana elettricità animale, qualcosa che mi attrae facendomi avvampare, mentre un brivido mi percorre la schiena.
Il mio innaturale silenzio è male interpretato e lui, con evidente delusione, abbassa lo sguardo, prende la sua valigetta in mano e accenna ad andarsene.
«No! Non se ne vada!» gli intimo, alzando un po’ troppo la voce. Il mio braccio proteso verso di lui, nell’istintivo gesto di trattenerlo, urta contro un portapenne facendo rovinare a terra tutto il suo contenuto.
Il direttore, attirato dal rumore, si affaccia da dietro il vetro della porta con fare interrogativo, ma io sfodero prontamente il mio solito sorriso, in modo da tranquillizzarlo.
Nell’ufficio due aleggia un’atmosfera densa. Nessun’altra parola, nessun contatto, solo un lungo, intenso sguardo magnetico mi lega a quest’uomo.

Dopo aver ascoltato le mille offerte che per conto dell’azienda bancaria gli posso offrire, Michele – evitiamo le formalità, mi aveva detto, può chiamarmi semplicemente Michele – concorda di sottoscrivere per l’immediato solo un contratto per una cassetta di sicurezza. Sempre che la sua conformazione sia adeguata a ciò che avrebbe dovuto contenere.
In circostanze normali il magro affare mi avrebbe lasciata un po’ delusa, ma oggi non mi sento così. Mi alzo dalla scrivania e sorrido intravedendo la mia immagine riflessa nel vetro della porta dell’ufficio: stamattina ho avuto un inspiegabile desiderio di sentirmi sexy e, aperto il cassetto della biancheria, avevo puntato su un reggiseno colore rosso bordeaux in pizzo e il perizoma abbinato, il tutto ricoperto da una corta sottoveste di seta e un abito in maglia che le fascia il corpo, scendendo fino ai polpacci. Forse sentivo di avere il charma  giusto per fare un incontro importante, significativo per la mia vita.
Sì, è assurdo. Ma con questa sensazione in corpo, raccolgo tutte le chiavi necessarie e avviso i colleghi che sto scendendo nel caveau. E’ una consuetudine farlo, in modo da concedere almeno una decina di minuti di privacy ad ogni cliente che deve accedere alla sua cassetta di sicurezza e, precedendo il signor Antoni, scendo le scale.
Ad ogni passo mosso, le natiche lasciate scoperte dal perizoma e dalle calze autoreggenti, strusciano sulla seta della sottoveste, procurandomi un gradevole massaggio. Forse è l’effetto dell’abbigliamento intimo o il pensiero di avere quest’uomo misterioso e sexy dietro a me, o la consapevolezza che sarei stata sola con lui all’interno del locale blindato, ma ad ogni gradino sceso, sento l’eccitazione salire. 
Apro la cassaforte blindata, poi la cassetta assegnata usando le due chiavi assieme: quella di Michele assieme al mio passe-partout, poi  estraggo il contenitore di ferro.
«Ecco, questa è un’operazione che necessariamente dovrà compiere con un addetto della banca» inizio a spiegare «poi sarà accompagnato in un privè. Nessuno verrà a conoscenza del contenuto della sua cassetta perché, come vede, al suo interno c’è quest’ulteriore contenitore che potrà aprire lontano da occhi indiscreti. Ora mi segua» dico, precedendolo nel corridoio «Ecco. Questa è una delle stanzette di cui le parlavo».
Michele ascolta distrattamente. Si guarda attorno, osservando la piccola stanza. C’è un tavolo ed una sedia, delle penne e dei fogli. Sembra cerchi qualcosa che non c’è e immaginare una possibile mancanza mi mette a disagio.
«Michele, qualcosa non va?» chiedo preoccupata. Mi  mortifica che qualcosa possa non essere di suo gradimento, quasi che le insufficienze della banca dipendessero da me.
«Sto cercando la telecamera, ma non la vedo»
Scoppio in una risata liberatoria.
«Per forza non la vede. Qui non c’è telecamera! Come farebbero, altrimenti, i clienti ad aprire le loro cassette lontano da occhi indiscreti? Quando è qui dentro, nessuno la può vedere!»
E’ quello che Michele vuole sapere: in quella piccola stanza siamo davvero soli! Lui mi si avvicina dalle spalle e mi accarezza i capelli, spostandoli per lasciare scoperto il collo. Richiude con una mano la porta dietro a noi, mentre la sua bocca si posa sul mio collo.
«Com’è morbido… e che pelle chiara e profumata…»
Sento il respiro di Michele farsi più veloce e un inequivocabile turgore si appoggia sulle mie natiche, mentre forti mani mi accarezzano il seno con desiderio. Sono confusa ma elettrizzata, non mi aspettavo una simile svolta ma lui non mi lascia scelte, non ha chiesto il mio permesso, non ha nemmeno tentato le consuete banali avaces dei clienti di campagna a cui mi sono ormai abituata.  
«Piccola Anna, hai portato la mia eccitazione alle stelle, semplicemente con la tua presenza!»
Sento la sua mano sollevarmi il vestito ed insinuarsi lungo le cosce, mentre l’altra si avvicina alla mia bocca. Lascio cadere la mia testa all’indietro, cercando la sua spalla a cui poggiarla. Pregusto già un travolgente bacio passionale ma, con un gesto improvviso, inaspettato, lui schiaccia un oggetto metallico, freddo e tagliente alla mia gola.
«Zitta, troia! Ora ci penso io, a te!»
Le mani di Michele, trasformate in una morsa, mi bloccano i movimenti e il respiro. Tento un disperato gesto di difesa, gli mordo la mano ma lui mi colpisce nuovamente alla schiena. Lo sento allentare la presa e, senza più nessun sostegno, mi affloscio come un palloncino bucato mentre il buio mi avvolge.  

Apro gli occhi. Sono ancora stesa a terra. Michele non è più qui con me e io cerco di richiamare l’attenzione dei colleghi ma il mio grido soffocato si perde nella piccola stanzetta del caveau della banca.
Una strana leggerezza mi avvolge, dandomi una particolare visione della realtà. Trovo quasi buffo vedere che non c’è nemmeno una pozza di sangue, quella che fa parte di ogni classica scena del crimine, mimetizzata tra la spessa moquette rosso scuro del caveau e il mio vestito in lana quasi della stessa tinta.
Vedo Michele in fondo al corridoio che si allontana imperturbabile e, alzando un piede dopo l’altro, inizia la risalita verso la hall. Mi colpisce un’impercettibile luccichio che scompare con la sua mano nella tasca, dalla quale esce poco dopo stringendo un fazzoletto. Si ferma un attimo al quarto gradino e, mentre un ghigno gli solleva gli angoli della bocca quasi a formare un sorriso, con destrezza si ripulisce le mani.
La mia testa è leggera, mi sembra di volare e gradualmente una sensazione di sonno e benessere si impossessa di me. Ma una fitta alla schiena mi riporta al presente Ricordo che, da bambina, guardando Gino, un amichetto di scuola dalla magrezza impressionante, pensavo che le sue scapole ben visibili sulla schiena fossero le ali di quell’angelo che ognuno sarebbe diventato una volta morto. Forse mi stanno spuntando le ali.
 Sento un rumore metallico, lo scatto di apertura della porta blindata che porta alla hall. Lo statico silenzio di quaggiù viene investito da una allegra musichetta di qualche radiolina accesa chissà dove. Forse arriva da un’auto parcheggiata qui vicino, oppure ha origine da un mio nuovo modo di avere un canale diretto con il mondo. La musica lascia spazio a un radiogiornale.
«….ancora nessuna pista sugli stupri perpetrati a danno di giovani donne nella provincia. L’uomo non ha mai lasciato tracce. Si suppone utilizzi un piccolo coltello per intimidire le sue vittime, per poi costringerle ai suoi desideri. Non sono stati divulgati ulteriori dettagli, ma si conosce solo la sua predilezione del maniaco per le bionde. Le forze dell’ordine si rivolgono a tutte le donne, raccomandando cautela…”
Le ultime parole mi giungono ormai indistinte, sovrapposte a quelle dei colleghi e clienti.
«Buongiorno signor Antoni.»
«Buongiorno a lei, Dottor Cardani.»
«So che la nostra Anna l’ha accompagnata alla sua cassetta. Spero che le sue spiegazioni siano state soddisfacenti per lei.»
«Certamente. La signora Anna è stata molto gentile e paziente. Al di sopra delle mie più rosee aspettative».
Nel caveau dell’agenzia il mio sangue si è ormai confuso con l’ambiente. Non provo più dolore, forse le mie ali sono spuntate. Ora sono felice: sono davvero un angelo. L’angelo della banca.


Fine


2 commenti:

  1. violenza e abuso dell'anima più che del corpo...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Beh, ogni tanto la scrittrice che è in me prende il sopravvento...

      Elimina

Related Posts with Thumbnails