27 maggio 2012

COME UN ANGELO


Come un angelo
(…i bancari hanno un’anima?)


Sono felice. Davvero un gran risultato, riuscire a lavorare in banca. Mamma e papà sprizzano orgoglio, mentre al mercato rionale raccontano agli amici del lavoro della loro bambina.
La selezione non era stata facile ma partendo da un test attitudinale aperto a più di quattromila partecipanti ero arrivata a un esame scritto e poi al colloquio finale. Vicino a me altri quindici persone, ragazzi più o meno della mia età, da poco usciti dai banchi di scuola con diplomi o lauree varie. Ricordo che quel giorno, conscia che il mio fosse solo uno dei dieci gruppi selezionati, avevo fatto un rapido conto: la banca intendeva assumere una diecina di persone, alla selezione eravamo passati in centocinquanta, quindi per avere una probabilità il mio colloquio personale avrebbe dovuto essere il migliore e più convincente del mio gruppo. Non so se è stata la determinazione, la conoscenza acquisita a scuola o la voglia di coronare il sogno di sempre, ma ce l’ho fatta. E un senso di orgoglio mi ha accompagnato per tutto il corso di formazione professionale: ora sono una impiegata di banca!

Finalmente, dopo una settimana di corso, oggi inizio il servizio di cassa. Mi ripeto mentalmente le mille regole stipate a gran forza nel cervello. Non prendete appunti, urlava il collega anziano che ci istruiva, fare il bancario è un lavoro che deve nascere da dentro. Le regole, i comportamenti, ciò che si deve fare o non fare deve venire d’istinto a tutti voi, un cliente quando se ne va deve pensare “questo impiegato è davvero un angelo!”.
Per lui è una vera missione, ecco perché non ammetteva nemmeno che potesse esistere la possibilità che qualcuno non amasse questo lavoro quanto lui o che dovesse prendere appunti per ricordare. Io annuivo, cercando di ascoltare con il cuore i suggerimenti e di memorizzare le regole per essere come lui: un bancario fino nell’anima, anche se in realtà, mi è rimasta qualche perplessità: come potrà mai un’impiegata di banca, diventare un angelo?




1.      Il Signor NO

La banca apre. Lo sportello dove lavoro è grande: ha tre casse attive e due di riserva che sono utilizzate solo in momenti di eccezionale afflusso. I clienti sono titubanti, cercano con lo sguardo i soliti cassieri e hanno un po’ di apprensione nei miei confronti. D’altra parte chi affiderebbe a cuor leggero i propri risparmi ad una ragazzina di vent’anni che puzza ancora di latte? Ma ecco avvicinarsi dal retro sportello Mario, il capo cassiere. Come ogni giorno, passeggia con fare rassicurante soffermandosi dietro ad ogni cassa, quasi ad avallare la capacità professionale di ogni impiegato agli occhi dei clienti. Da me si trattiene qualche minuto: sorride e annuisce, mentre la sua mano si posa dolcemente sulla mia spalla.
Il suo fare da buon padre di famiglia ottiene il risultato sperato. Ecco che una persona si avvicina, poi un’altra si accoda, lasciando uno spazio (come da regolamento) per la privacy e poi ancora altre due. Sì, credo sarà un gran giorno per me. Il primo di una lunga serie.
Dopo varie operazioni, concluse sempre con il sorriso sulle labbra (e la tensione che mi attanaglia lo stomaco) ecco arrivare l’ennesimo cliente. Distolgo un attimo lo sguardo per appoggiare dei documenti nell’apposito raccoglitore, ma quando riprendo la posizione un moto di stizza si impadronisce di me. Sarà a causa della stanchezza o forse per l’incredulità di ciò che vedo: sul bancone, sparpagliate, numerose banconote sono comparse da chissà dove. Il cliente mi guarda fisso, senza nessuna particolare espressione. Non l’ho notato mentre si avvicinava, ma tutte quelle banconote sparse senz’ordine, quasi gli fossero scivolate dalla mano, non sono certo un buon biglietto da visita.
«Ha la distinta di versamento, per cortesia?»
«No.»
Ma come? Nessun tentativo di scusarsi, come ha fatto quella ragazza mezz’ora fa quando ha dichiarato  “Sa… sono arrivata di corsa, ho visto che non c’era coda e non ho fatto a tempo a prepararla”, oppure come la signora di mezza età che, con leggero rossore, ha farfugliato “…mi scusi, devo aver scordato gli occhiali a casa…”.  Questo qui mi sbatte in faccia semplicemente un no. Non villano, non di scuse, ma un banale no che non lascia prevedere cambiamenti di idea.
«Va bene. Gliela faccio io.» Dico mascherando a fatica la tensione. Mai compilare documenti al posto dei clienti, aveva tuonato il Capo Servizio in sede di istruzione, si rischia di porsi in difetto in caso di contestazioni! Ma lo sguardo di rassegnata sufficienza del collega anziano mi aveva lasciato intravedere un margine di eccezione.
«Quanto versa?… il numero del conto?… intestato a chi?… Ecco. Metta qui la firma.»
«No.» risponde lui con lo stesso tono di prima.
Il nervosismo sale. Non concepisco questo comportamento, ma soprattutto non riesco a capire il sorriso serafico che adesso sfoggia il cliente di fronte a me. Un altro no. Ha osato dirmi ancora NO!
Con il pieno di adrenalina in corpo alzo lo sguardo, fino ad incrociare i suoi occhi. Avrà circa una cinquantina d’anni, vestito di un’eleganza sobria, un cappotto grigio topo buttato sopra le spalle. E continua a fissarmi. Pare divertito, ma allo stesso tempo è irremovibile. Sono arrabbiata, mi sento impotente di fronte a questa sillaba pesante come un macigno, ma stranamente non ho la sensazione di essere presa in giro.
Ripenso al collega anziano che con enfasi sottolineava l’importanza del nostro ruolo, di come anche un bancario debba avere un’anima ed essere in grado di andare oltre alle rigide regole e adoperarsi per capire le esigenze del cliente.
Mi rendo conto che non ho ancora compreso in che senso devo lavorare “con il cuore” e men che meno come qualcuno potrebbe definirmi un angelo, specie in questo momento, ma rassegnata raccolgo le banconote che finora sono rimaste sparse sul bancone, senza che né il cliente né io avessimo cercato di dar loro una sistemata.
Solo con le banconote in mano inizia realmente il mio lavoro di cassiere, ma prima di cominciare a contare, lo guardo nuovamente quasi a cercare uno spiraglio di incontro. Lui a questo punto allarga la sua bocca. Un sorriso con un retrogusto di tristezza. Sposta leggermente le falde del suo cappotto e lascia intravedere un paio di moncherini, tagliati sopra il gomito.
«Sapesse quanto vorrei dire SI».

Fine 1^ puntata.
à continua…

4 commenti:

  1. Il mio primo giorno di banca è stato il 16 settembre 1977,addetto agli assegni circolari.
    Un po'datate,ma queste emozioni le ho vissute anch'io.

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    1. Grazie Costantino.
      Il mio è stato il 3 giugno 1985. Erano ancora i tempi in cui la Banca era umana. E' per questo che ho voluto raccogliere e scrivere questi ricordi.
      Grazie del tuo passaggio.

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  2. Per me l'umanità nel settore economico, in questo tempo storico, è solo utopia; attendo con ansia le altre puntate!

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    1. hai ragione Liber(io). Immagina il mio disorientamento: sono entrata in banca quando i bambini venivano a festeggiare La Giornata del Risparmio, ora sono dalla parte dei ...Truffaldini(!?).
      Ti accontento con la mia seconda puntata...

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