29 maggio 2012

COME UN ANGELO - 3


Come un angelo
(…i bancari hanno un’anima?)



3.      Quella strana ragazza

A volte, più che un angelo, mi pare di essere come un confessore perché nell’esercizio della mia attività spesso vengo a conoscenza di cose molto personali. Anche in questi casi ricordo il collega anziano, quando nei suoi insegnamenti puntualizzava l’aspetto personale del nostro lavoro dicendo che non ci deve essere curiosità morbosa, mai pettegolezzi, altrimenti si rischia di perdere quella fiducia che il cliente ripone in noi. All’inizio pensavo fosse una raccomandazione superflua o quantomeno esagerata, ma quando a Veronica, un’avvenente collega un po’ sbadata, scappò un commento di troppo ho capito.

Veronica stava eseguendo un bonifico, un pagamento periodico sempre della stessa cifra, per conto di un cliente a favore di una signorina. A voce alta, credendo di essere spiritosa, aveva chiesto se la beneficiaria fosse la sua amante. Voleva essere solo una battuta, ma senza saperlo Veronica aveva colto nel segno. Urlandolo ai “sette venti”, nel bel mezzo della hall dell’agenzia.
La settimana dopo la moglie del cliente aveva chiesto il divorzio e Veronica era stata trasferita altrove. Il capo ufficio, nel comunicarci la notizia, si era soffermato su questo particolare: discrezione sui fatti personali dei clienti. Ricordo di aver promesso a me stessa che non mi sarebbe mai sfuggita nessuna considerazione personale in merito a un cliente!
Un giorno la mia attenzione viene catturata da una bella ragazza, dai lunghi capelli neri appena entrata in banca. Un’altezza vertiginosa accentuata da calzature con tacchi importanti. Io, rinchiusa nel mio sobrio completo da ufficio, penso: però, niente male! Peccato si trucchi in un modo così pesante. Poi, senza darle più bada, continuo con le solita sequenza di buongiorno… un prelievo?… di quanto?… Va bene… Buona giornata…, fino a smaltire tutti i clienti che erano prima di lei.
Quando arriva il suo turno, noto la sua titubanza. Si avvicina come se non volesse arrivare fino alla mia cassa (la terza e l’ultima in fondo alla stanza), ma nemmeno fermarsi su quella di Sandro o di Giorgio, i miei colleghi.  La guardo e le faccio cenno di avanzare.
Prego, si accomodi pure. Cosa posso fare per lei? le dico con il solito sorriso, volgendo leggermente lo sguardo sul video del PC per verificare che lo schermo sia pronto ad una nuova operazione, in una mossa ormai automatica. E in quel momento una voce sommessa, dal tono caldo e profondo, mi comunica che deve ritirare un mandato a suo favore. Mi giro di scatto, temendo che lei avesse avuto una specie di ripensamento e avesse lasciato il posto ad un altro cliente. Invece no.
«Devo ritirare dei soldi, una sovvenzione che mi dà il comune», ha ripetuto con un tono basso.
«Sì, certo. A che nome?»
«Bortolo»
Non riesco a trovarlo. Troppi omonimi: in paese metà degli abitanti porta quel cognome quindi, come ho fatto tante altre volte, insisto e le chiedo anche il nome. Sì, è vero. La regola vuole che io abbia in mano il documento della persona, ma ricordo sempre gli insegnamenti del collega anziano in merito al tatto, all’istinto. Quindi, quando chiedo dati personali, preferisco fissare la persona negli occhi invece che soffermarmi in mille azioni burocratiche.
«Antonio. Bortolo Antonio», risponde lei sempre con quella voce dal tono soffuso. Io digito velocemente i dati nelle caselle apposite della schermata, attendendo che mi esca la segnalazione “Mandato numero… a nome Bortolo Antonio, delega all’incasso Signora Bortolo XY”. Eccolo, l’ho trovato. Ma c’è solo quel nome, nessuna delega all’incasso.
Allora mi volgo nuovamente verso la cliente, per cercare di farle capire che la somma io posso pagarla solo all’intestatario del mandato e che quindi deve presentarsi il signor Antonio, ma… la frase mi si blocca in gola.
Quegli occhi… i suoi occhi! Con un trucco pesante, troppo per quell’ora del mattino e quel fondotinta che mi era parso un po’  eccessivo, l’altezza importante… Non ho il coraggio di chiederle altro. Liquido la somma, facendole firmare l’apposita ricevuta. Lei impugna la penna, timidamente, con una mano curata, le unghie laccate che stonano con un polso grosso e un avambraccio muscoloso.
Quando se ne va, il suo viso è illuminato e la sua bocca, disegnata da un rossetto fuxia, è allargata in un sorriso finalmente sereno, quasi liberatorio, sollevato dal peso di dover dare per l’ennesima volta delle umilianti spiegazioni su una rilevante situazione personale.
Dopo dieci minuti, esco e vado al bar. Ancora turbata bevo il solito cappuccino che il signor Piero mi ha appena preparato rimuginando sull’accaduto: forse stavolta sono stata troppo sicura, forse avrei dovuto chiedere ugualmente il documento anche se la cifra (ottantasette euro e cinquanta) è modesta. In fondo potrei essermi sbagliata… Prendo il portafoglio per pagare la mia consumazione, ma Piero mi blocca.
«Lasci stare, è già pagato. Lo ha offerto lei, quella... ragazza!», comunica strizzando l’occhio con fare di chi la sa lunga.


Fine 3^ puntata.
à continua…

4 commenti:

  1. Ciao Susanna,
    forse non tutti i bancari hanno un'anima, ma tu hai avuto sicuramente tatto ed intelligenza, virtù oramai rarissime e questo può solo renderti onore.
    A presto.

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    1. Grazie Keiko. Finchè ho lavorato allo sportello ho sempre cercato di dare il massimo nei confronti delle persone, in ogni filiale in cui ho lavorato (e sono davvero tante!).
      Buona vita!

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  2. Chi lo dice che gli angeli non esistono?
    Questa è la dimostrazione che ce ne sono anche tra i "bancari" e io oggi leggendo questa tua puntata ho avuto la riconferma.
    Mi hai commossa......
    bacione

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    Risposte
    1. Grazie Pinuccia. Mi è sempre piaciuto il mio lavoro e l'ho sempre fatto con passione.

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