3 maggio 2012

7. TI SCRIVO PERCHE' NON TI HO MAI DETTO CHE...


Sei entrato nuovamente a forza nella mia vita in un giorno ben preciso, il 22 ottobre 1992.
Hai voluto impormi la tua scelta, o forse non volevi che io ne avessi una mia.
Mi hai sorpreso in un momento in cui la mia vita era caotica, piena, quasi satura di emozioni, tra notti insonni e pannolini, biberon e fughe all’asilo. Non credevo che la nascita del secondo figlio mi avrebbe scombussolato la vita così tanto. Ero sicura di essere forte, io, di essere in gamba, io, e che non ci fosse nulla che mi potesse fermare. Depressione post-partum? Beh, in effetti mi ero sorpresa qualche volta a piangere, ma era solo stanchezza. Pura e semplice stanchezza di mamma.

Mi attendeva la visita dal ginecologo, la prima dal giorno del parto. Non ne avevo voglia, ma sapevo che era giusto così e, come ben ricorderai, ci hanno insegnato che non ci si può mai esimere dai doveri. Il mio pensiero andava agli ultimi mesi passati a “gambe aperte” a farmi controllare, palpeggiare, monitorare a causa della gravidanza difficile e mi veniva la nausea, ma ritenevo, non troppo convinta, che in fondo ci fossero cose peggiori. Il seguito della giornata me ne ha dato la certezza.
Avevo organizzato tutto ed ero pronta ad uscire. L’unico intoppo era che mamma non poteva tenermi i bimbi. La tua insistente richiesta mi era sembrata assurda. Non capivo perché proprio quel giorno lei dovesse venire da te, a casa tua. Te n’eri andato da diciotto anni e solo da qualche anno sopportavi di tornare qualche volta per un fugace pranzo di famiglia o accettavi qualche incursione di mamma a casa tua.
Ancora non l’ho capita la tua scelta. Ma lo è davvero stata?
Ti te ho solo pochi ricordi: ti vedo quando confezionavi gioiellini lavorando il filo di argento e che tentavi di vendere per le strade di Jesolo in estate, oppure quando mi comparivi in piena notte intimandomi di smetterla di piangere, chè tanto nessuno sarebbe venuto a consolarmi, o quando ti vedevo fumare di nascosto strane sigarette fine e bitorzolute, dall’odore così diverso da quelle di mamma. Non ti ho mai conosciuto veramente. Ti adoravo, ritenendoti un genio incompreso. Ho imparato a suonare la chitarra in pochi giorni, solo perché eri tu ad insegnarmelo. Ma ogni anno passato lontano, ha offuscato quei pochi ricordi positivi che avevo. All’epoca ero troppo piccola per capire tante cose e credevo tu mi volessi  bene. Forse era così, ma il tuo modo di dimostrarlo non andava bene e un giorno te l’ho detto.
Avevo solo 13 anni quando te ne sei andato di casa e un enorme rimorso: immaginavo fosse per colpa mia, per qualcosa che avevo fatto o non fatto e ancora oggi non ho la certezza che non fosse così. Non so nemmeno chi volevi punire con il tuo atto. Me? Mamma? Te stesso?
Quando ho battezzato Lorenzo, poche settimane dopo la tua morte, il prete voleva che aggiungessi anche il tuo nome al piccolo. Sono stata irremovibile.  Non ho accettato la tua decisione, non mi è stata data nessuna possibilità in merito, ma potevo scegliere di non dedicarti spazi della mia vita. Così ho fatto.
Da quando sei morto non ho mai messo piede in cimitero, non ho mai avuto il desiderio di farlo. Non ho potuto vedere il tuo corpo esanime, non sono stata resa partecipe degli esiti dell’autopsia, non so nemmeno se per accompagnare il tuo gesto tu abbia lasciato un biglietto d’addio. Ma non mi è mai importato sapere altro. Con la tua fine, si è chiuso anche un capitolo della mia vita.
Continuo a fare brutti sogni, quelli dove c’è un uomo nero, un’ombra senza volto che mi insegue. Forse un giorno riuscirò a cancellare anche questo dai miei ricordi.
Oggi avresti  cinquantasei anni. Ero sicura che non li avresti sprecati. Invece vent’anni fa hai voluto fermare la tua esistenza.
Ti odio. Per aver buttato via la tua vita.
Ti odio. Per aver rovinato la mia.
Ti odio. Perché in due, saremmo stati meno soli.
Non so se sia giusto negare il mio perdono, non so se lo hai mai cercato, ma credo che l’epilogo che hai scelto sia l’unica risposta al mio quesito.
L’ultima immagine che ho di te è a casa mia, con in braccio mio figlio. Il piccolo aveva solo un mese e ricordo che allora avevo colto uno stridore della scena: mi sembrava innaturale vedere una piccola vita in braccio a te. Forse avevi già deciso per la morte.
Buona fortuna, Marcello. Ovunque tu sia.


Susanna 25.04.12

2 commenti:

  1. ho letto tutto d'un fiato. con lacrime amare agli occhi.
    hai lasciato un segno in me, con queste tue parole...

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  2. Grazie MadiS. Quando scrivo, spesso lo faccio per me. E' un modo per togliermi il nero che ho dentro, perchè faccia un po' meno male, perchè la ferita inizi a guarire.

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