Sei
entrato nuovamente a forza nella mia vita in un giorno ben preciso, il 22
ottobre 1992.
Hai
voluto impormi la tua scelta, o forse non volevi che io ne avessi una mia.
Mi
hai sorpreso in un momento in cui la mia vita era caotica, piena, quasi satura
di emozioni, tra notti insonni e pannolini, biberon e fughe all’asilo. Non
credevo che la nascita del secondo figlio mi avrebbe scombussolato la vita così
tanto. Ero sicura di essere forte, io, di essere in gamba, io, e che non ci
fosse nulla che mi potesse fermare. Depressione post-partum? Beh, in effetti mi
ero sorpresa qualche volta a piangere, ma era solo stanchezza. Pura e semplice
stanchezza di mamma.
Mi
attendeva la visita dal ginecologo, la prima dal giorno del parto. Non ne avevo
voglia, ma sapevo che era giusto così e, come ben ricorderai, ci hanno
insegnato che non ci si può mai esimere dai doveri. Il mio pensiero andava agli
ultimi mesi passati a “gambe aperte” a farmi controllare, palpeggiare, monitorare
a causa della gravidanza difficile e mi veniva la nausea, ma ritenevo, non
troppo convinta, che in fondo ci fossero cose peggiori. Il seguito della
giornata me ne ha dato la certezza.
Avevo
organizzato tutto ed ero pronta ad uscire. L’unico intoppo era che mamma non
poteva tenermi i bimbi. La tua insistente richiesta mi era sembrata assurda.
Non capivo perché proprio quel giorno lei dovesse venire da te, a casa tua. Te
n’eri andato da diciotto anni e solo da qualche anno sopportavi di tornare
qualche volta per un fugace pranzo di famiglia o accettavi qualche incursione
di mamma a casa tua.
Ancora
non l’ho capita la tua scelta. Ma lo è davvero stata?
Ti te ho
solo pochi ricordi: ti vedo quando confezionavi gioiellini lavorando il filo di
argento e che tentavi di vendere per le strade di Jesolo in estate, oppure
quando mi comparivi in piena notte intimandomi di smetterla di piangere, chè
tanto nessuno sarebbe venuto a consolarmi, o quando ti vedevo fumare di
nascosto strane sigarette fine e bitorzolute, dall’odore così diverso da quelle
di mamma. Non
ti ho mai conosciuto veramente. Ti adoravo, ritenendoti un genio incompreso. Ho
imparato a suonare la chitarra in pochi giorni, solo perché eri tu ad
insegnarmelo. Ma ogni anno passato lontano, ha offuscato quei pochi ricordi
positivi che avevo. All’epoca ero troppo piccola per
capire tante cose e credevo tu mi volessi
bene. Forse era così, ma il tuo modo di dimostrarlo non andava bene e un
giorno te l’ho detto.
Avevo solo
13 anni quando te ne sei andato di casa e un enorme rimorso: immaginavo fosse
per colpa mia, per qualcosa che avevo fatto o non fatto
e ancora oggi non ho la certezza che non fosse così. Non so nemmeno chi volevi
punire con il tuo atto. Me? Mamma? Te stesso?
Quando
ho battezzato Lorenzo, poche settimane dopo la tua morte, il prete voleva che
aggiungessi anche il tuo nome al piccolo. Sono stata irremovibile. Non ho accettato la tua decisione, non mi è
stata data nessuna possibilità in merito, ma potevo scegliere di non dedicarti
spazi della mia vita. Così ho fatto.
Da quando sei morto non
ho mai messo piede in cimitero, non ho mai avuto il desiderio di farlo. Non ho
potuto vedere il tuo corpo esanime, non sono stata resa partecipe degli esiti
dell’autopsia, non so nemmeno se per accompagnare il tuo gesto tu abbia
lasciato un biglietto d’addio. Ma non mi è mai importato sapere altro. Con la
tua fine, si è chiuso anche un capitolo della mia vita.
Continuo a fare brutti
sogni, quelli dove c’è un uomo nero, un’ombra senza volto che mi insegue. Forse
un giorno riuscirò a cancellare anche questo dai miei ricordi.
Oggi avresti cinquantasei anni. Ero sicura che non li
avresti sprecati. Invece vent’anni fa hai voluto fermare la tua esistenza.
Ti odio. Per aver
buttato via la tua vita.
Ti odio. Per aver
rovinato la mia.
Ti odio. Perché in due,
saremmo stati meno soli.
Non so se sia giusto
negare il mio perdono, non so se lo hai mai cercato, ma credo che l’epilogo che
hai scelto sia l’unica risposta al mio quesito.
L’ultima immagine che ho
di te è a casa mia, con in braccio mio figlio. Il piccolo aveva solo un mese e
ricordo che allora avevo colto uno stridore della scena: mi sembrava innaturale
vedere una piccola vita in braccio a te. Forse avevi già deciso per la morte.
Buona fortuna, Marcello.
Ovunque tu sia.
Susanna 25.04.12
ho letto tutto d'un fiato. con lacrime amare agli occhi.
RispondiEliminahai lasciato un segno in me, con queste tue parole...
Grazie MadiS. Quando scrivo, spesso lo faccio per me. E' un modo per togliermi il nero che ho dentro, perchè faccia un po' meno male, perchè la ferita inizi a guarire.
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