14 aprile 2012

I TURBAMENTI DI UNA DONNA

Sono seduta nel divano del salotto, con le gambe sollevate, raggomitolata su me stessa, lo sguardo perso nel vuoto. Non riesco ad accettarlo, anche se so di non avere alternative. La finestra vicina a me è aperta nel buio della sera e dalla cucina esce la luce che rompe la penombra in cui mi rifugio: sento l’inconfondibile rumore delle stoviglie che Vanessa sta riordinando.

“Mamma, allora? Non mangi?”
“No tesoro. Ho mal di pancia.”
“La tua mania delle diete! Devi smetterla, ti fa più male che bene.”
La mia bambina. E’ commovente vedere come si preoccupa di me. Già, bambina: ormai sono solo io a chiamarla così. Vanessa ha quasi vent’anni, è una bella ragazza, piena di vita, il mio orgoglio. L’ho cresciuta tra mille sacrifici, come ragazza-madre. Si diceva così ai miei tempi quando una donna decideva di partorire senza avere un marito al suo fianco. Io avevo già ventotto anni e il frutto del mio errore (come lo aveva chiamato mia madre) non ho voluto dividerlo con nessuno. Nemmeno con il padre, che si è defilato appena saputo il pasticcio in cui lo avevo cacciato. Ma le rinunce sono state ampiamente ripagate dalle soddisfazioni e la gioia di vederla felice e appagata è sempre stata la mia ricompensa maggiore.
“Mamma, stasera viene Cucciolo. Andiamo al cinema e ha chiesto se vuoi venire con noi.”
Guglielmo, detto Cucciolo. L’ho chiamato io così. Quando l’ho conosciuto, è stata subito amicizia. Era venuto al Centro Commerciale in cerca di lavoro e entrava in tutti i negozi consegnando il suo scarno curriculum di giovane studente poco più che ventenne. Sai, mi ha confessato dandomi subito del tu, senza voler essere irriverente, ma come si usa tra i ragazzi, vorrei raggranellare qualche soldo perché voglio andare ad abitare da solo. Mi ha fatto sorridere il suo entusiasmo giovanile e all’inizio ho cercato di dargli qualche suggerimento. Non potevo assumerlo, ma i miei consigli lo hanno evidentemente fatto sentire a suo agio.
Mi chiamo Guglielmo – mi ha detto quel giorno con un pizzico di reticenza – ma gli amici mi chiamano Willy. Questo nome non mi è mai piaciuto, ma a casa è tradizione.
Per gli amici sarai Willy, ma per me sei un cucciolo – gli ho risposto. E in quel momento avrei voluto davvero stringerlo tra le mie braccia materne.
“Ho finito la scuola da un paio d’anni. Non mi è mai piaciuto.”
“Perché? Avevi difficoltà?”
“I proff stressavano e basta”
“Beh, è il loro compito insegnare.”
“Lascia stare… da loro non ho imparato niente. Ma dal mondo, sì”
“Che vuol dire?”
“Passavo molto tempo tra la gente, nella strada. Osservavo le persone: come si muovevano, parlavano e anche come tacevano tra loro.”
“Che modo strano di fare.”
“Lo dicevano anche loro, i proff. E mandavano avvisi a casa.”
“E i tuoi?”
“Nulla: mio padre è alle prese con una di vent’anni di meno che gli spilla quattrini e energie, mia madre se n’è andata non so esattamente dove.”
“Mi dispiace. Ma tu dove abiti?”
“Diciamo che in teoria starei da mio padre, ma piuttosto di vedere quella lì che mi guarda con sufficienza preferisco stare fuori la notte.”
“Da amici?”
“No. In strada. Ci sono posti che nemmeno immagini. Ma quando si gira alla notte, la pace e la tranquillità di alcuni luoghi è meravigliosa. D’inverno il rumore della pioggia sulla strada, alla primavera gli insetti, in autunno le foglie secche che scrocchiano sotto i piedi: tu non ti sei mai fermata ad ascoltarli?”
“È molto bello quel che dici. Ma non trovo giusto che tu abbia vissuto così: nessuno ti aiuta?”
“Guarda che a me piace quello che faccio, non ho bisogno di aiuto: me la so cavare da solo. Ma adesso vorrei trovare una casa per conto mio.”
Mi piaceva chiacchierare con Cucciolo: così sensibile, così profondo. Mi ha subito attratto il suo modo di vedere la vita. Un modo strano, senza limiti né confini, quasi da favola. Avevo a che fare con una sorta di genio e sregolatezza.
Molte altre volte è passato a trovarmi in negozio, e sempre le nostre chiacchiere sono state così intense da farmi volare il tempo senza accorgermene. Poi finalmente il lavoro da magazziniere, al supermercato del Centro Commerciale: questo ci dava modo di passare ancora più tempo assieme, tra spuntini e pause caffè. Ci siamo sentiti spesso, più volte al giorno, per mesi. Ormai conoscevo tutto di lui, le inflessioni della sua voce, le rughe di espressione del suo volto e ogni aspetto del suo carattere.
Sovente mi sono soffermata a guardare la foto che mi aveva regalato: le labbra piene, lo sguardo ambiguo, a metà strada tra quello di un dolce angelo e quello di un diavolo tentatore, e mi sentivo salire un desiderio colpevole e vergognoso.
Un giorno mi ha annunciato che se ne sarebbe andato a vivere da solo: aveva trovato un appartamentino a buon prezzo in periferia.
Mi sono ritrovata, allora, a cercare pezzi d’arredamento a buon mercato, biancheria da casa in offerta speciale, a spiegare ricette di cucina, ad insegnare come dividere il bucato prima di metterlo in lavatrice e tutte quelle cose che dalla sua vera madre, rea a suo dire di averlo abbandonato da piccolo, non aveva mai imparato.
Silvia – mi dice – voglio tu venga a vedere dove abito. Abbiamo creato insieme questo posto quindi, in fondo, è un po’ anche casa tua.
E così ho fatto. Era il nostro primo reale incontro, noi due da soli, avvenuto con la naturalezza di due amici di vecchia data, nella sua dimora: un posto semplice, a tratti spartano ma con un gran calore.
Per l’occasione ho cucinato io, con lui alle mie spalle, curioso di imparare come solo un cucciolo può esserlo. Una sensazione sorprendente. I gesti che ho ripetuto per anni, a casa sua, con lui vicino sono diventati eccezionali. Il suo entusiasmo mi ha coinvolto, felice della serata in sua compagnia, fino a quel bacio sulla soglia di casa. Un bacio casto, da amici, sulla guancia. Ma in quel momento il mio corpo ha vibrato per la sua vicinanza. Ciao Cucciolo, gli ho detto con la voce strozzata dall’emozione, è stata una bellissima serata. Non chiamarmi Cucciolo, sono un uomo e saprei dimostrartelo, mi ha risposto, scavalcando quell’ultimo muro che ancora ci divideva. Io ho il doppio della sua età, ma all’inizio nessuno dei due lo sapeva, dopo non era più importante.

“Mamma, allora? Mi hai ascoltato?”
“Scusa Vanessa, ero assorta nei miei pensieri.”
“Allora, verrai con noi?”
“Grazie tesoro. Ma preferisco stare a casa”
“Willy non sarà contento di saperlo”
Willy, il mio Cucciolo, con un corpo da uomo. Spesso mi sorprendo ad immaginare come sarebbe averlo come compagno. Il suo vigore di giovane uomo mi tormenta nelle notti solitarie, mentre l’imbarazzo di tali pensieri mi assale con il levarsi del giorno.
Si può sapere che ti succede – mi ha detto un giorno, mentre eravamo al bar davanti ad una coppa di gelato – da un po’ di giorni sei tesa. Dimmi quello che ti turba, siamo amici, no?
Allora ho pensato che renderlo partecipe dei miei tormenti, avrebbe reso il tutto più semplice. Invece di mettersi a ridere, lui si è avvicinato a me, abbracciandomi forte.
Ti voglio bene, Silvia – ha dichiarato serio, guardandomi con quei suoi occhi verdi come il mare ai tropici – sei molto importante per me. Mi sono sentita al settimo cielo. Anche lui mi voleva bene, ed era molto più di ciò che io abbia mai avuto.

Cucciolo continua a venire a trovarmi alla profumeria al centro Commerciale e usciamo a bere un caffè: sono momenti di distrazione e felicità. Ma quando ho colto lo sguardo divertito delle mie commesse, tutto si è fatto chiaro ai miei occhi. Ridono della signora che esce con il ragazzino. La mia faccia felice deve dimostrare più di quello che sento.
Poi ha conosciuto anche Vanessa. Anche tra loro c’è stata subito sintonia e mi ha fatto piacere constatare che Vanessa non si è mai stupita della nostra amicizia. Abbiamo cominciato ad uscire tutti e tre assieme, un cinema, una pizza ma percepivo il cambiamento. Sentivo che tra loro cominciava ad esserci qualcosa di più.
Mamma, io e Willy stiamo assieme - mi ha detto Vanessa stamattina, con un abbraccio pieno di gioia. Io, stringendola forte a me, non sono riuscita a trattenere una lacrima. Sapevo che sarebbe successo, era inevitabile, ma mi è crollato il mondo addosso.
“Mamma, non hai sentito il campanello? Vado ad aprire. E’ arrivato Willy!”
Lo stomaco mi si serra in una morsa dolorosa. Sono furiosa con lui. Perché non mi ha detto di essere innamorato di Vanessa? Siamo amici, e una cosa così importante non me la dice?
“Silvia, muoviti! Che tra poco inizia il film.” Afferma Willy entrando in casa di corsa.
“No. Io non vengo.”
“Ma che ti prende? Ti se fatta con il latte e menta?” chiede con tono preoccupato, rimanendo bloccato in mezzo alla stanza.
Mi viene da sorridere. Ho sempre adorato il suo modo di prendermi in giro, così distante dal mio. Ma sono troppo arrabbiata per dargli una risposta, e me ne vado in cucina, mentre vedo Vanessa che si avvicina a lui e lo prende per mano.
“Non ci badare. E’ nervosa per la dieta. Gliel’ho detto di non strafare, ma lei è testarda, lo sai!”
“Si, ma non l’ho mai vista così.”
“Forza, Cucciolo. Andiamo.”
Li sento allontanarsi, mentre lui con voce stizzosa risponde “Willy! Per te sono Willy, ricordalo. Solo tua madre mi può chiamare cucciolo.”
La porta si richiude dietro quest’ultima frase: Tua Madre. Questa parola mi rimbomba dentro, infilzando la mia anima come lama arroventata nel burro. Il suo corpo di uomo, il sorriso malandrino, le commesse che mi guardano, Vanessa, “tua madre”… Un vortice di emozioni incontrollabili lottano nella mia testa e si aggrovigliano nello stomaco.
Un trillo insistente mi distrae.
“Pronto?”
“Ciao, Silvia! Come va?”
“Celeste. Che piacere sentirti.”
“Dici davvero? Dalla tua voce non sembrerebbe..”
Lei, Celeste, una recente amicizia. Una donna fantastica e sensibile, il cui nome la descrive alla perfezione: Celeste, come il cielo azzurro di primavera, una simpatia a pelle, difficile da descrivere a chi non l’ha provata.
“No, sul serio. E’ che sono arrabbiata.”
“Che è successo?”
“Cucciolo!”
“Il tuo pupillo? Che ha fatto di così terribile?”
“Lui e Vanessa si sono messi assieme..”
“E allora? Dovresti essere contenta. Mi hai sempre detto cose splendide di quel ragazzo..”
“Si, ma... Perché lui non mi ha detto nulla? Mi ha sempre raccontato un sacco di cose, e questa niente? Ieri è sparito per tutto il giorno, e io non sapevo che pensare e oggi… la novità!”
“Calmati. Ti rendi conto delle cavolate che stai dicendo?”
“Tu non capisci.”
“No, io capisco benissimo. Silvia, sinceramente: ti sei innamorata di lui?”
“Celeste! Ma scherzi? Potrebbe essere mio figlio.”
“Appunto.”
“No. Non so. Non capisco più nulla. So solo che sto male.”
“Ok, allora ti lascio tranquilla.  Ma se avessi bisogno di parlarne, sai che io sono qui. Un bacio, mia cara.”
“Grazie, Celeste. Sei una vera amica a sopportare tutte le mie paranoie.”
Interrompo la comunicazione e stacco il telefono. Ho voglia di non essere disturbata. Sprofondo sul divano: il buio della notte abbraccia ogni angolo della stanza, interrotto solo dal riflesso dei fari delle auto che, entrando dalla finestra aperta, disegnano una scia di luce sulla parete. Resto lì, inebetita, cercando di sentire tutto il dolore che è in me. Una lacrima scende lenta. Solo una. Le parole di Celeste mi fanno riflettere. Il malessere è dentro di me, e non è colpa di Cucciolo. Ma voglio capire. Devo capire.
In fondo è successo ciò che ho sempre desiderato. Lui si è innamorato di una brava ragazza che gli vuol bene. E quale migliore persona può desiderare una madre per la propria figlia che un ragazzo come lui?
Passa il tempo e nel buio della mia stanza, comincio a ritrovare la serenità. Gli eventi delle ultime ore assumono finalmente la giusta dimensione. Spesso ho desiderato essere la persona più importante per qualcuno, ma non si può forzatamente stravolgere l’ordine delle cose.
Temevo di aver perso un caro amico, ma così non è. In più, le persone cui voglio bene sono felici. Di cosa devo essere arrabbiata?
Sento il rumore delle chiavi sulla porta. Sono loro. Li accolgo con un gran sorriso.
“Ciao, ragazzi. E’ stato bello il film?”
“Si, ma adesso devo scappare. Domani lavoro e devo alzarmi presto.”
Vederlo baciare dolcemente sulle labbra la mia bambina mi fa uno strano effetto, ma ora sono sicura. Non è gelosia, solo il dispiacere di non essere più l’unica persona per lui. Poi si volge verso di me.
“Buonanotte, Cucciolo. Fai dei sonni sereni.” gli dico stringendolo in un forte abbraccio.
“Ti voglio bene, Silvia” mi risponde, con quel suo solito sorriso e lo sguardo malandrino richiudendo poi la porta dietro a sé.
Anche stanotte farò i soliti sogni, ne sono sicura, ma anche il mio inconscio, a poco a poco, accetterà la realtà.


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