19 aprile 2012

8. ASPETTANDO GODOT - Read & Think



Aspettando Godot  è la più famosa opera teatrale di Samuel Beckett, pubblicata nel 1952; appartiene al genere teatro dell'assurdo, un genere dominato dalla credenza che la vita dell'uomo sia apparentemente senza senso e senza scopo, e dove l'incomunicabilità e la crisi di identità si rivelano nelle relazioni fra gli esseri umani.

Vladimiro (chiamato anche Didi) ed Estragone (chiamato anche Gogo) stanno aspettando su una desolata strada di campagna un "certo Signor Godot". Non vi è nulla sulla scena, solo un albero dietro ai due personaggi che regola la concezione temporale attraverso la caduta delle foglie che indica il passare dei giorni. Ma questo personaggio, Godot, non appare mai sulla scena, né si dice mai niente sul suo conto. Egli si limita a mandare un ragazzo dai due vagabondi, il quale dirà ai due protagonisti che "oggi non verrà, ma che verrà domani", riferendosi al suo mandante.
I due uomini, vestiti come barboni, si lamentano continuamente del freddo, della fame e del loro stato esistenziale; litigano, pensano di separarsi (anche di suicidarsi) ma alla fine restano l'uno dipendente dall'altro. Ed è proprio attraverso i loro discorsi insensati e superficiali, inerenti argomenti futili e banali, che emerge il nonsenso della vita umana predicato dall'autore.
Nella cultura popolare Aspettando Godot è divenuto sinonimo di una situazione (spesso esistenziale) in cui si aspetta un avvenimento che dà l'apparenza di essere imminente, ma che nella realtà non accade mai e che di solito chi l'attende non fa nulla affinché questo si realizzi.

Capita di lamentarsi (giustamente) delle difficoltà della vita, della durezza dell’oggi, del desiderio di domani, dei sogni mai (o non ancora) realizzati… Ma.
A che serve una batosta se non ci spinge ad andare oltre?
Vorrei poter parlare a mille e mille della necessità di non mollare, di cercare l’oltre, di non aspettare Godot, di… Ma suonerebbe come un volersi mettere in cattedra. No. In questo momento mi rivolgo solo ai miei figli. E dico loro, ripeto loro, ciò che da sempre insegno ma che (per fortuna) finora è sempre stata solo teoria: non mollate. Mai. Non aspettate, affrontate. Con grinta, senza paura. Lo sconforto è ammissibile, purchè funzionale a trasformarsi in successiva forza. Il suicidio (reale o intellettuale) è una sconfitta senza appello. Aspettare Godot sopraffatti dall’inedia, anche.

Susanna  29.09.2010

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