29 marzo 2012

2. IL PRIMO GIORNO





La cartella è di colore azzurro rilucente. Turchese, ha sottolineato zia Yvonne, e con l’astuccio abbinato. Una sciccheria non da tutti, ha ribadito mamma. Sono sorelle, mamma e zia Yvonne, e sono sempre d’accordo su questo tipo di cose: sull’abbigliamento, sulla pettinatura, sugli accessori. Anche sul sottolineare con occhiatine d’intesa su quanto io, invece, sia lontana dai loro standard di buongusto. Per di più sono entrambe maestre, le più conosciute in paese e anche le più stimate, quindi insegnare è la loro missione. Maestre di seconda generazione. Come la nonna prima di loro e come i loro altri due fratelli. Due generazioni di insegnanti elementari che guardano gli eredi con la malcelata speranza di un proseguimento della tradizione di famiglia.
Loro hanno scelto per me questa cartella in tessuto plastificato color turchese, con il manico nero e con una chiusura sul davanti. Dentro c’è un astuccio dello stesso colore fatto a bustina, una matita, una gomma mezza blu e mezza rossa, sei anonimi pastelli corti e un quadernetto a quadretti dalla copertina nerastra. Guardo perplessa questa dotazione, ma loro sono maestre e sicuramente sanno cosa serve.

Oggi è il Primo Giorno. Alla televisione ho sentito che ci chiamano remigini, ma non so cosa voglia dire. Forse è perché siamo i più piccoli e veniamo scambiati per dei girini?
C’è grande agitazione a casa, tutti che hanno qualcosa da fare. Papà è già pronto, lavato e sbarbato e sta finendo di bere il caffè. È ancora troppo caldo, ma lui deve far presto, ché il lavoro lo aspetta. Mamma invece è ancora chiusa nel bagno rosa. Vedo il suo profilo attraverso il vetro smerigliato della porta. È tutta intenta a cotonarsi i capelli, per poi coprirli con abbondante lacca Adorn Confezione Rosa. Che l’abbia scelta perché è abbinata al bagno?
I miei fratelli sono già pronti e, senza badarmi, scendono in strada per attendere l’autobus. Loro due non sono nervosi come me, forse perché sono già grandi. Vanno alle medie, loro.
Io sono qui in un angolo. Ho i miei soliti sandaletti blu con gli occhi, ma mamma mi ha fatto mettere i calzettoni bianchi in filo, quelli ricamati. Pizzicano ma sono molto raffinati, dice lei. Il resto dell’abbigliamento non è altrettanto curato, tanto sopra ho il grembiule, ma la pettinatura è quella della festa: capelli tirati bene bene e stretti in due elastici, coperti da due fiocchi bianchi. A me non piacciono i codini, perché per farli mamma mi tira sempre i capelli, ma lei dice che così non sembro il solito maschiaccio.
Non so dire come mi sento. Dovrebbe essere una festa, ma a me non sembra tanto lo sia. Io aspetto con la cartella turchese in mano, il grembiulino nero addosso ma ancora slacciato dietro.
«Che fai lì impalata? Vai, che è tardi. Chiama papà che ti fa attraversare. Poi la strada la sai, no?»
Le parole di mamma mi arrivano veloci, trascinate dalla sua corsa a non far tardi. Un bacio soffiato dalla mano in lontananza e lei sparisce giù per le scale lasciando solo la scia di profumo. Un Dior, il meglio per una signora.
Mi arrangio alla bell’e meglio e, allacciati i bottoni del grembiule con mosse degne di una contorsionista, mi avvio tenendo la cartella luccicante stretta nella mano.
Giù in strada non c’è più nessuno che mi aiuti ad attraversare, ma non importa: l’ho fatto mille volte da sola. La scuola non è lontana e passeggiare in quartiere è piacevole. Sono tanti i bambini che vanno in quella direzione. Qualcuno ride, qualche altro piange, tutti sono accompagnati dalla mamma. Io no. La mia mamma è andata in un’altra scuola, quella in centro: i suoi bambini l’aspettano.
Io non so esattamente dove devo andare. Mi guardo attorno e aspetto, finché una voce da dietro mi fa sussultare.
«Che fai? Vai dalla maestra Giuditta. Ti sta aspettando.»
Che fortuna ho avuto. Mi è toccata proprio la maestra migliore: quella antipatica,  magra, con i capelli corti e grigetti, i baffi e la gobba, il tutto rinchiuso in un enorme grembiule nero con le tasche sempre piene di fazzoletti usati. Lei non sorride mai. Com’è che dice sempre nonna? Chi ben comincia…
In aula la maestra ci assegna i posti a sedere. Io in primo banco, proprio davanti alla cattedra, così ti tengo d’occhio, dice lei con uno sguardo truce. Sempre più fortunata!
Faccio una panoramica sui compagni e il mio sguardo cade sulle loro cartelle: grandi, squadrate, quasi tutte con le bretelle e grandi astucci che si aprono con una cerniera lasciando intravvedere al loro interno tante grandi matite colorate, fermate con un apposito elastico, ordinate per gradazione di colore. Quelle sì che sono cartelle, altro che la mia. E che astucci!
«Bene, bambini. Adesso iniziamo facendo un bel disegno. Ma in silenzio. Lavorate a testa bassa senza disturbare. La vostra merenda la potrete mangiare più tardi, quando suona la campanella.»
La merenda? Io non ce l’ho la merenda. Gli occhi iniziano a bruciarmi.
Il tempo passa e dopo disegni, astine sul quaderno seguendo i quadretti, ricreazione, ancora disegni e ancora astine, suona nuovamente la campanella. È finita. Ma a scuola non si fa altro che stare in silenzio, alzare la mano se proprio si deve parlare, fare pagine di astine e disegnare?  No, non mi piace per niente il Primo Giorno. Gli occhi mi bruciano ancora, ma spero che fuori di qui mi passi. Cammino lentamente e respiro a fondo: quando faccio così, non so perché, ma il dolore agli occhi mi passa.
«Allora, ti sei divertita? Ti è piaciuto andare a scuola? Vedrai quante cose imparerai negli anni.»
Divertita? Piaciuto? Anni? ANNI? Ma che, scherziamo? Non è finito il Primo Giorno? Nessuno mi aveva detto che ce ne sarebbero stati altri. Io credevo fosse come andare dal dentista: si va e basta, ci vanno tutti. Non è molto divertente, ma poi finisce e non ci si pensa più.
«Che fai, non dici nulla? Su, dai racconta. Vedo già come sarai da grande: una bravissima maestra!»
Lascio la cartella in ingresso, nel posto stabilito, e in silenzio schizzo via. Ho bisogno di respirare. No. Non so cosa farò da grande, ma sicuramente non sarò una maestra.

2 commenti:

  1. ...........oppure potrebbe essere maestra con tutto il suo sentire e ardore di far risollevare a desiderio l'anima dell'alunna-bambina........dal silenzio-adulto!

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    1. @ Liber(io): Grazie del tuo commento. Il mio silenzio-adulto ha lasciato spazio al mio silenzio-bambino che si svela solo attraverso la scrittura e la narrazione. Ma confermo: non sono maestra! ^_^
      Buona vita

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