12 novembre 2011

CORRENTE ALTERNATA

DOMANDE E SILENZI    (Questo è l'inizio del romanzo che ho in lavorazione)

  1.  
Sofia non riesce a prendere sonno.
Da fuori nessun rumore, anche gli uccellini dormono a quest’ora; il letto non le è mai sembrato così grande e vuoto.
La piccola luce della notte, posta in un punto centrale del corridoio, lascia intravedere i contorni ancora sconosciuti della sua camera. Dalla porta dell’altra stanza, aperta come al solito, sente arrivare il sereno respiro dei bambini, sprofondati nel sonno appena un’ora prima.
Si alza e a piedi scalzi si dirige in bagno, strusciando la schiena lungo il muro, precedendola con i polpastrelli che seguono le asperità della parete. E’ una mania che non è mai riuscita a togliersi quella di camminare tenendo sempre le spalle al riparo. Sperava che lasciando la casa di Donna Laura la paura sarebbe rimasta lì, ma così non è stato.
Già, Donna Laura. Che in una discussione, una delle tante, aveva affermato che non era una buon’idea portare qui i bambini, che loro non erano persone adatte a vivere in mezzo ai campi, che mille pericoli li aspettavano qui, che i contadini non erano persone da frequentare…
Tutto questo era bastato a Sofia per decidere che il Borghetto era il posto giusto dove andare a vivere.
Apre le finestre. La notte in campagna ha un suono particolare, come il tono silenzioso di un ingranaggio ben ingrassato. Le stelle sono sparse a ventaglio come le sementi nel campo. In un posto così non può succedere nulla di male.
 Sì, ce l’ho fatta, pensa Sofia. Ieri notte ha dormito per l’ultima volta a casa di Donna Laura. Anzi, in verità non è riuscita a chiudere occhio per l’emozione del trasloco.
Di prima mattina sono arrivati i trasportatori e a mezzogiorno sono già nella nuova casa. Dal portellone spalancato del camion, è uscita una catena infinita d’oggetti, suppellettili, mobilia varia, ondeggiando al passo dei traslocatori.
I bambini, entrati in casa come scimmie curiose, si sono rincorsi ed erano saliti per le scale aprendo ogni porta e finestra. Non li aveva mai portati prima.
Lei ha diretto il traffico seguendo uno schema immaginato e stravolto per parecchie volte, ansimando per lo sforzo e i chili di troppo nel salire e scendere le scale.
Le era piaciuta questa casa, costruita su un lotto di terra frutto del frazionamento di un appezzamento più grande sul quale sorgeva una fattoria, forse troppo piccola per la sua famiglia, ma con un bel giardino.
La Casina, una dependance, era l’unica parte che non fosse stata demolita e Sofia l’aveva voluta acquistare così, annessa alla nuova abitazione come un simbolo: una casa nuova priva di storia a fianco di un vecchio edificio zeppo di ricordi.
            Inquietante quel barbone davanti casa. Un uomo alto, allampanato, con un cappellaccio calato sul viso che lasciava uscire lunghi capelli neri. Dalla sua bicicletta scassata ha seguito il trasloco per una diecina di minuti, per poi ripassare verso sera, soffermandosi a guardare Sofia. Si è allontanato scotendo la testa.

La mattina arriva all’improvviso, cogliendo Sofia finalmente addormentata.
«Mamma, svegliati… Vanda vuole salutarti!» urlano da sotto i piccoli.
Sofia si alza ancora un po’ frastornata, allacciandosi la cintura di una vecchia vestaglia di maglina verde acqua, l’unica che ha trovato nella fretta di andare a letto ieri sera.
Passa davanti allo specchio dell’armadio per dirigersi verso la porta e, osservando la sua figura riflessa, pensa: questa è l’ultima volta che la indosso. Mi sento ridicola, l’ho sempre detto. Ma Donna Laura non voleva intendere ragioni.
«Mamma… allora, ci sei?»
«Sì, un attimo… eccomi. Ma che succede?» chiede scendendo le scale, cercando di sistemare i corti capelli neri arruffati dalla notte.
«Buongiorno. Mi scusa se disturbavo, ma…»
«Guarda, mamma. Vanda ci ha portato una torta.»
«L’ha fatta lei, con le sue mani.»
«Possiamo mangiarla, mamma?»
«Dài, possiamo?»
La piccola cucina si riempie in un attimo dei gridolini di gioia e del profumo di latte e di caffè appena fatto. Sul tavolo troneggia una torta casalinga e attorno i bambini e le due donne: Sofia, un’Heidi cresciuta, e Vanda una persona scialba ma con un naso cicciotello che, se dipinto di rosso, somiglierebbe a quello posticcio dei clown. Sorride, Sofia. Le basta questo particolare per decidere che Vanda è una persona piacevole.
             «Dimmi, Vanda. Cosa fai? E’ tanto che sei al Borghetto? Sei sposata?»
«Io qui ci sono da sempre. È bello il Borghetto e le mie radici non le strappa nessuno. Quando arrivano nuove famiglie mi precipito a coglierle» risponde con un filo di voce.
«Oh, scusa. Forse sono troppo aggressiva. E’ che mi sento così felice che a volte dimentico le buone maniere.»
«Sei fortunata che non ti abbia sentito Donna Laura, mamma.»
«Mamma, Marco parla con la bocca piena! Non si fa! Lo dice sempre Donna Laura, vero mamma?»
«Sei la solita impicciona.»
«Non è vero.»
«Sì che lo sei.»
«Mamma, Marco mi tira i capelli…»
«E’ stata lei a cominciare…»
«Bambini, basta così. Adesso fuori a giocare. Vanda, scusa. Mi dispiace per la confusione.»
«Non ti quietare. Sono bambini.»
«Ne approfittano perché non c’è Donna Laura. Ma dimmi, Vanda, qui sono tutti così gentili come sei tu? Chi abita qui di fronte? E quella signora con i capelli grigi?»
Con un sorriso complice, Vanda inizia a spiattellare particolari su ogni abitante del paese.
«… l’Emporio è il centro del paese e Silvio, il proletario…»
«Chi?»
«Il padrone, Silvio! si crede pure lui di essere il centro. Ma delle paesane! Ahahahah..»
«Dici davvero?»
«Sì, e guarda come il povero Toni si dà da fare. Anche lui vuole essere come Silvio, ma davvero non è all’altezza…»
«Troppo basso?»
«Ma no, che dici. Guarda, è quello lì.»
«Quale?»
«Lo vedi, lì nella casa di fronte? Fa finta di non vedere e passa nudo davanti la finestra.»
«Ma bisogna fare qualcosa! Ci sono i bambini in strada…»
«Non ti quietare. Tempo un minuto e la moglie lo giusta. Ecco, vedi?»
Una sonora risata accompagna la fine ingloriosa dello show del povero Toni.
«Non mi hai ancora detto chi abita in quella casa.»
«Quale? Quella rosa?»
«No, quella gialla. Vedi? Ecco… ancora la tendina che si muove. Lo ha fatto per tutto il giorno, ieri. E adesso di nuovo. Ma che fa, mi spia?»
«Ma che dici? Scherzi? Qui non succede nulla del genere! Qui siamo tutti amici» afferma Vanda mentre, abbassando lo sguardo, inizia a giocare con una briciolina sulla tovaglia. 
Sofia si alza e prende il bricco di caffè.
«Ne vuoi un altro po’?»
«No, grazie. A me basta così.»
«Io ne prendo ancora. Mi aspetta un gran lavoro, qui. Tutta la casa da sistemare.»
«Se vuoi, io posso aiutarti.»
«Grazie, ma non ho la possibilità di…»
«Non fiatare! Non parlare di soldi. Qui usa così, ci si aiuta sempre quando c’è bisogno. Sempre!»
«Ok. Ma…»
«Quando ci sarà la necessità, tu incambierai. E’ la regola.»
«Va bene. Accetto volentieri. Ma appena mi daranno una risposta dalla ditta a cui ho mandato il curriculum per quel lavoro…»
«Sì, sì… Quando ti rispondono al cucum, si vedrà.»







  1.  

La scuola è appena iniziata ed è stato predisposto anche il servizio di scuolabus.
«Forza mamma, muoviti.»
«Donna Laura non ci avrebbe fatto arrivare in ritardo.»
«Ma che dite? Non siamo in ritardo.»
«Ma se poi il pulmino passa e noi non siamo lì?»
«Mamma, guarda. Gli altri sono già fuori. Sbrigati!»
Sofia chiude dietro di sé la porta di casa, uscendo ancor prima di poter finire la colazione. Da quando sono arrivati nel nuovo quartiere, Lisa e Marco sono in costante fermento.
Chiamare il Borghetto “quartiere” sembra un’esagerazione. In realtà si tratta di una decina di case, sorte in una zona agricola all’interno della curva a gomito della strada provinciale che porta a Torre Rivolta, che delimita l’abitato a nord e a est. Il paese ha una sola via, che racchiude il gruppo di case all’interno e dei viottoli pedonali per raggiungere le abitazioni. Non c’è modo di andare da qualsiasi parte del paese senza passare per il centro, a meno di voler percorrere la strada provinciale, senza marciapiedi. Ci sono anche case in costruzione o appena finite, alcuni lotti sono solo recintati, l’illuminazione pubblica non è ancora sistemata. Numerose buche sono disseminate sulla stradina davanti casa, maculando l’asfalto di bassissima qualità che la ditta di costruzioni ha steso in gran fretta per dare l’impressione di finito.
Il pulmino per Torre Rivolta parte alle otto dal piazzale davanti all’Emporio, che si trova in fondo, dove quell’unica strada incrocia la provinciale. Sofia accompagna i ragazzi per quei cinquecento metri. Sembra di essere in un film d’altri tempi, con le porte delle abitazioni che si aprono quasi alla stessa ora, lasciando uscire i ragazzini che si riuniscono lungo la strada con schiamazzi e risa. Le mamme li seguono raccontandosi le ultime novità. E’ strano vedere quante cose possano essere successe nell’arco di una notte, ma il concitato cicaleccio non lascia dubbi sull’importanza di tali notizie. Alla fermata arrivano tutti nell’arco di cinque minuti, abbondantemente in anticipo rispetto all’orario fissato. Sofia si avvicina e, sfoderando il migliore dei suoi sorrisi, s’inserisce nel gruppetto d’adulti.
«Ciao a tutti. Sono Sofia.»
Il gruppetto si allarga e la accoglie. Sofia si sentirebbe più a suo agio se ci fosse anche Vanda, che è l’unica che ha già conosciuto il giorno prima, ma lei non ha figli da accompagnare a scuola.
L’autobus arriva, i bimbi salgono. Il gruppetto, invece di disperdersi, si dirige compatto verso l’Emporio.
L’Emporio è l’unico locale pubblico del Borghetto: bar, pompa di benzina, generi alimentari di prima necessità, punto di ritrovo. È come se in questo posto il tempo si fosse fermato cent’anni fa, ma è questo il punto di forza del Borghetto: un quartiere a dimensione “umana”, a pochi minuti da Torre Rivolta, un centro a cui non manca nulla.
«Forza, Sofia. Vieni.»
E’ Vanda. Lei è già dentro e le fa cenno di entrare. Sofia rimane ferma all’ingresso. Cinque giovani donne raggiungono in un attimo Vanda e un bell’uomo serve loro la colazione.
Il sole, ormai alto, supera le tendine bianche, infilate sul bastone a metà della vetrina, finendo a rallegrare le tovaglie a quadretti bianchi e rossi dei pochi tavolini del locale.
«E brave le mie donzelle» dice, avvicinandosi a loro con un sorriso malandrino e, posato il vassoio sul tavolo, allarga le braccia e cinge le spalle di due signore.
«Smettila, Silvio. Tieni le mani a posto.»
«Ma come, nemmeno una palpatina? Eddai… Che i vostri uomini di sicuro non ci sanno fare come me…”
Le donne si schermiscono e lo guardano con malizia. E’ evidente quanto questa scena sia un’abitudine per loro, infatti, nessuna sembra essere offesa. Silvio, il proprietario dell’Emporio, è un uomo che non passa inosservato in un posto come questo. Fisico energico, dall’apparente età di quaranta-quarantacinque anni, look curato e sorriso accattivante, sembra godere della sua posizione di galletto nel pollaio.
«Ehi, bellezze… non badate al vecchietto, che son qua io!»
Risatine accolgono l’arrivo di Toni. Sofia lo riconosce: è il suo dirimpettaio esibizionista. Sembra la brutta copia di Silvio. E’ più giovane, e il suo fisico sembra dimostrare la stessa costanza d’allenamento, ma l’eccessivo gel distribuito sui capelli troppo lunghi e le scarpe stile cow-boy lo etichettano senza pietà ancor prima che lui apra bocca.
Sofia è felice: sì, è così che deve essere la sua nuova vita.
«Toni, va’ al lavoro. Non rischiare di essere colto in flagranza di reato» sentenzia un’anziana signora entrata di sorpresa nel quadretto. 
«Berta, che dici?» balbetta il giovanotto, nel tentativo di difendersi. Ma poi si allontana impacciato e si dirige al bancone del bar.
«Legalmente un uomo sposato dovrebbe astenersi dal concupire altre donne» continua lei con voce stentorea.
«Che ti preparo, Berta? Un caffè, un latte?»
«E’ un tentativo di corruzione? Silvio, ti ho avvertito. Rischi una denuncia per adescamento.»
Berta: un fisico da matrona e una messa in piega casalinga. Sguardo impenetrabile e sempre vigile, incute timore e rispetto a chiunque. Dà l'impressione di stonare tra loro, ma è evidente quanto invece sia amalgamata e stimata dal gruppo. Sofia è ancora ferma sull’ingresso dell’Emporio. Ma è nuovamente Berta a gestire gli eventi.
«Tu sei Sofia, vero?»
«Sì» risponde movendo qualche passo verso la sua interlocutrice. «Lei chi è? E’ tanto che abita al Borghetto? Dove vive?»
«Non mi sottoporre a un interrogatorio. Sono io che faccio domande, qui. Cerca di rigare dritto. Vedrai che ci troveremo bene.»
Sofia rimane ammutolita bloccandosi di colpo, mentre guarda Berta voltarle le spalle e uscire dall’Emporio. Stranamente le altre sembrano non aver notato il piglio del dialogo e le danno il benvenuto al loro tavolo, dove una tazza fumante la aspetta.
«Non ci guardare.» borbotta Vanda, rimasta finora un po’ in disparte, «Lei è così, ma in fondo è buona. Le altre sono un po’ oche, ma lei è un pezzo solo. Noi la chiamiamo la Carabiniera, ma è meglio che non sente…»
Poi, avvicinandosi, le sussurra con fare circospetto che il marito di Berta era un Maresciallo e, in caso di problemi, lei sa cosa fare.
«Sa cosa fare? Che significa?»
«Lei conosce la legge, le persone giuste e tante altre cose.»
Finita la colazione, le donne si disperdono, tornando ognuna alle proprie occupazioni.
Le ultime parole di Vanda rimbombano nella testa di Sofia. Qualcuno al Borghetto aveva forse avuto bisogno dell’aiuto di Berta?








  1.  

E’ pomeriggio e i ragazzi sono in strada e giocano con i nuovi amici. Vanda sta dando una pulita in casa.
Sofia decide che è tempo di iniziare a sistemare anche la Casina e spinge con forza la porta per entrare.
La pianta quadrata, le pareti in muratura grezza, una porta di legno massiccio e sulla parete a est due piccole finestre poste un po’ più in alto dell’usuale.
La luce entra dai vetri anneriti dal tempo e si unisce a quella che passa dalla porta lasciata aperta, ma stranamente non colora né riscalda la stanza.
Sotto le finestre è appoggiata una vecchia scrivania con tanti cassetti ai lati; sulla parete sud della stanza troneggia un vecchio armadio dalle ante sconnesse che lasciano intravedere una pila di vecchi giornali.
Sulla facciata a ovest, dei ganci trattengono alcuni attrezzi da giardino: in origine doveva essere un capanno, immagina Sofia, ma un tocco femminile gli ha conferito una sembianza di dimora.
Una strana emozione s’impadronisce di lei: il tempo non le manca e visto che certamente non spiacerà a nessuno, inizia a curiosare cercando di immaginare i proprietari di quegli oggetti e la loro vita al Borghetto.
Vuole iniziare dai cassetti della scrivania. Sembra impossibile aprirli senza rovinare la scrivania, ma ricordando quella del nonno, Sofia immagina sia bloccata allo stesso modo e, tirato il cassetto centrale, subito quelli laterali non oppongono più resistenza.
Tanti piccoli oggetti, riposti quasi di fretta, e un quaderno con le pagine un po’ rovinate. Sofia apre le pagine del quaderno.
Arrossisce al pensiero di violare i segreti di qualcuno e sorride nel leggere le prime righe.

Ciao Dario


sapessi quanto sono felice di avere finalmente un amico. Qui al Borghetto ho un sacco di amici, ma sai non sono come me. Loro parlano di cose che mi annoiano e se invece racconto io qualcosa, non tengono la bocca chiusa e dopo cinque minuti la sanno già tutti e poi Mauro si incazza e mi fa la predica perché dice che non devo raccontare i fatti miei. Non vuole vedermi parlare con la gente perché dice che non sta bene per una ragazza impicciarsi delle cose deglialtri ma lui non lo sa che io invece le cose loro le so eccome.

Pensa che c’è Silvio che dice che prende un sacco di soldi solo perché fa divertire le donne ma non ho ancora capito come fa perché invece vedo che Vanda non è divertita e nemmeno Berta gli piace come fa.

Adesso scappo perché c’è Mauro che ulula come un cane rauco e se non vado di corsa poi sono guai.
Un baciotto, amico mio.
                                   Maria


E’ divertente entrare nel paese attraverso gli occhi e la serena infanzia di questa ragazzina. Sofia immagina le giornate in cui avrebbe desiderato qualcuno con cui parlare. Ma Donna Laura non lo permetteva, non c’era nessuno che lei ritenesse all’altezza della sua famiglia. E Sofia si ritrovava sempre sola, ogni giorno di più: non c’era amica che resistesse. I ragazzi? nemmeno a parlarne! Per fortuna l’arrivo di Giovanni era passato inosservato: Donna Laura non lo conosceva e lui non conosceva lei. Allora Sofia aveva pensato fosse una fortuna, l’unica via di scampo. Ora, separata con due figli, lo pensa un po’ meno.


4.       

La colazione fatta in fretta, come al solito, e i figli che la trascinano in strada.  E’ iniziata un’altra giornata e come ogni giorno i bambini si rincorreranno per strada, cercando di arrivare per primi alla fermata del bus, le donne si ritroveranno a chiacchierare per poi fare colazione all’Emporio dove Silvio farà le sue avance che il maldestro Toni cercherà di imitare.  Poi certamente interverrà la Carabiniera e porterà la situazione alla normalità.
Sedute al solito tavolino, Silvio stavolta si avvicina a lei, senza farsi notare troppo dalle altre.
«Sei una donna giovane, Sofia. E sei sola. Se ne hai voglia, con discrezione, io ti posso fare compagnia…» e detto questo si allontana, lasciandola allibita con la tazzina a mezz’aria.
Attorno, le altre continuano i loro pettegolezzi. Solo Vanda si è accorta della scena e si avvicina.
«Silvio ti ha fatto le solite presentazioni, vero? Lui è un maiale, lo sappiamo tutte qui dentro. Non ti fare dindolare. Lui è un gighigiò
«Un che?»
«Uno che va con le donne e lo pagano! E chi invece lo vuole per amore riceve solo sussulti. Non ti fidare… Meglio sole che con uno come lui.»
«Che dici, Vanda?»
«Dico che lui fa così con tutte!»
«Ma non essere ridicola. Lui scherza. Vero che scherza?»
«No.»
«E come fai ad essere sicura? Ci ha provato anche con te?»
«Con me? Omioddio, no! Ma per chi mi hai preso? Guai a lui se ci prova! Io sono una donna seriosa, e mi deve spettare. Sì, se mi vuole fa il cavaliere con me, gliel’ho detto chiaro!»
Sofia sorride. La povera Vanda e il suo amore non corrisposto, le tresche di paese, i pettegolezzi. Tutto rende il Borghetto così umano.
Alza lo sguardo e nota l’ombra di due persone che gesticolano nascoste dalla tendina della porta di servizio, dietro al bancone del bar. Una è la Carabiniera, ma vicino a lei vede una figura, più alta e magra, che non riconosce.
La porta si apre e un uomo si avvicina con decisione.
«So che abiti alla Casina. Vedi di farti i fatti tuoi, e non impicciarti.”
«Mi scusi, ma lei chi è? Dove abita? E cosa fa?» chiede Sofia.
«Sofia, ti ho già detto di non fare interrogatori. Segui le regole, e tutto andrà bene…» interviene Berta, e senza aggiungere altro si allontana assieme all’uomo misterioso continuando a discutere a voce bassa. Fuori del locale, i due si fermano come se concordassero gli ultimi dettagli e, dopo aver dato ancora un’occhiata a Sofia, l’uomo sale su una bicicletta scalcagnata e si allontana in fretta.
«Vanda, chi era quell’uomo? Che voleva da me? Perché mi ha aggredito in quel modo?»
«Mia cara, hai conosciuto il Cittadino. Lui è Michele.»
«Io l’ho già visto. Mi stava osservando dalla strada.»
«Quando?»
«Il giorno in cui ho traslocato. Mi aveva inquietato.»
«Perché?»
«Se ne stava lì, davanti alla Casina. Con quel cappellaccio calato in testa e i vestiti larghi. Pensavo fosse un barbone.»
«Be’, Michele è un tipo ogirinale. Non avvicina nessuno.»
«Non è di qui?»
«Ci abita da qualche anno. E’ capitato dalla città e ha aperto il Centro Silente, in fondo allo stradone.»
«Quello in aperta campagna? A un paio di chilometri da qui?»
«Sì. Io non ci sono mai stata, ma ho sentito che…»
«Vanda, quando imparerai a tener chiusa quella vecchia ciabatta?»
«Ma Silvio… Io stavo solo…»
«… facendo pettegolezzi. A Berta non piace, lo sai. E nemmeno a noi.»
«Io cercavo solo di essere gentile e…»
«Tu, al solito, t’impicci. E voi smettetela di fare come le chiocce nell’aia. Tutte fuori, che c’ho da fare» dice, iniziando a sparecchiare mentre tutte si disperdono senza aprir bocca.

I cinquecento metri che dividono l’Emporio da casa sua non sono mai stati così lunghi. Vanda, umiliata da Silvio, si è allontanata di corsa senza aggiungere altro; le donne, dopo la rimbeccata di Berta, si sono allargate, tenendo le distanze da Sofia; di Berta e Michele nessuna traccia.
Rimuginando sugli eventi degli ultimi dieci minuti e ripensando alle parole minacciose, Sofia prende una decisione: andrà nuovamente nella Casina. Se c’è qualcosa di così importante che lei non deve scoprire, può essere solo lì.
Non può permettere che un segreto la tenga lontana dal Borghetto e dai suoi abitanti.








5.       

Sofia, seduta alla scrivania di Maria, sfoglia con attenzione il quaderno, leggendo alcune pagine e tralasciandone altre. Dario deve essere certamente un ragazzino molto dolce, per ascoltare Maria che gli parla di Mauro, considera Sofia.

Ciao Dario,
               oggi a scuola mi hanno fatto i complimenti perché il vestito di carnevale era bellissimo. Eccicredo con tutta la fatica che ho fatto e poi Vanda mi ha aiutato a cucire delle vecchie stoffe che aveva Silvio ma l’idea è stata solo mia ma non ce l’ho detto a Mauro che sennò mi urla…

Ciao Dario.
               Sono riuscita a scappare un po’ qui da te. Sai che ci sto davvero bene? Pensa che Mauro per tutta la cena non ha fatto altro che toccarmi le gambe e il culo e le tette perché dice che mi sente distante e che vuole che io lo ami di più. Invece io avevo voglia di stare un po’ da sola con te…

Storie di ordinaria quotidianità, una teenager alle prese con la scuola, con i compiti, con la prima cotta. Che c’è di strano in tutto questo? si domanda Sofia. Certo, Donna Laura non avrebbe ammesso che i ragazzi si toccassero a quell’età, ma qui in campagna tutto fa meno scalpore.
La luce del sole, entrando dalle finestre, batte sulla scrivania e abbaglia Sofia che continua la sua ricerca con meno convinzione, sollevata al pensiero di aver frainteso l’atteggiamento di Michele. E’ un tipo strano, aveva detto Vanda, non c’è altro.
Solleva lo sguardo: una scrivania, degli attrezzi da lavoro, un armadio.. Non c’è niente in questo posto che faccia pensare a un mistero, a un segreto da nascondere. 
La sua attenzione è attratta da una pila di giornali che spunta dall’anta sconnessa.
«Forse c’è qualcosa qui» ipotizza, prendendo in mano la copia sopra.
Il sole si nasconde dietro a una nuvola. La stanza si rabbuia ma c’è sufficiente luce per leggere. 
Si tratta di un giornale locale. La data impressa è di circa cinque anni fa. Cronaca nazionale, qualche vicenda internazionale, sport. Poi, in un riquadro in basso, l’accenno a un lutto al Borghetto.
L’articolo a pagina XVI, specifica il somMauro. Ecco, pagina XVI: “…commossa partecipazione degli abitanti del Borghetto al funerale di Mauro Costa. Le indagini, aperte dal locale Comando dei Carabinieri, si sono concluse senza nessun iscritto al Registro degli Indagati. La morte è stata archiviata come incidente…”.
Il trafiletto è corredato da una foto sfocata, nella quale Sofia intuisce le figure di Vanda, Silvio, Michele e Berta che tiene per mano una ragazzina magra, dai capelli lunghi.
Non c’è scritto altro. Un funerale in un piccolo paese è un evento importante, ma perché i Carabinieri avevano indagato?
La curiosità spinge Sofia a sfogliare ancora il quadernetto di Maria. Forse la ragazza nei suoi racconti quotidiani aveva riportato la vicenda di questo funerale.

Ciao Dario,
               mi dispiace essere scappata ieri sera ma ho dovuto tornare a casa perché devo pensare a Mauro e non mi ci diverto per niente ma ormai mamma non sappiamo più dov’è e io devo fare al posto suo ma tanto basta che chiudo gli occhi e resto immobile e in pochi minuti finisce…

Sofia sente un brivido passarle lungo la schiena.
Forse non ho afferrato il senso, probabilmente sono termini da ragazzina.
Devo capire meglio, magari la storia non è così come sembra, insiste mentre riprende a sfogliare le pagine di quel quadernetto.

Ciao Dario.
               Oggi non mi sento molto bene ma Mauro stava male anche lui e ha voluto andassi a prendere le solite birre ma io gliele avevo già prese stamattina ma lui non mi ha creduto perché ha detto che non ne aveva più e mi ha picchiato. Solo qualche pugno non tanti e allora ho pensato che forse aveva ragione e sono uscita a prenderne altre ma Silvio aveva già chiuso e non sapevo cosa fare. Per fortuna Berta mi ha visto e mi ha chiamato anche se non ho ancora capito come fa Berta a sapere sempre tutto. Poi voleva che restassi a casa con lei ma io le ho detto che Mauro non voleva lo lasciassi solo e che poi avevo ancora una cosa da fare prima di andare a dormire…

…Io voglio essere come lei. Berta non piange. No non piange mai e nemmeno io piango anche se adesso mi fa male dappertutto e non riesco nemmeno a sedermi perché Mauro era più nervoso del solito ma era colpa mia perché l’ho fatto aspettare e tu lo sai che lui non vuole mai dovermi aspettare e ho fatto tardi anche con te ma lui non si addormentava mai e io qui ci devo venire quando non mi vede altrimenti se sa cosa faccio sono guai…

Sofia continua a girare le pagine. La sedia arroventata non le permette di stare seduta tranquillamente.

Ciao Dario.
                Sono spaventata. Oggi Berta mi ha fermato e mi ha chiesto perché sono così pallida e io le ho detto che da un po’ ho male la pancia e alla mattina vomito e lei si è messa le mani tra i capelli e ha urlato adesso basta e è corsa da Mauro e hanno litigato…


… lo sento che urla perchè sa che sono tornata a casa e vuole bere…


… ho paura e la nausea non se ne va sto sempre peggio e oggi ho già vomitato quattro volte mi fa male dappertutto e non capisco che mi sta succedendo…


…Berta era lì davanti alla finestra di casa sua e mi guardava come al solito. Avrei voluto correre da lei e dirle tienimi qui con te che a casa non voglio più stare ma Mauro mi chiama. Mi chiama sempre più forte… non ce la faccio ad andare da lui no oggi proprio non ce la faccio. Non me ne frega niente se mamma se n’è andata e lui è solo io non ce la faccio più a sentire le sue urla e avere le sue mani addosso e sentire la sua bocca bavosa e puzzolente...

Le pagine seguenti sono intonse, come se Maria da quel momento fosse svanita. Non ha nemmeno firmato la sua ultima lettera a Dario. Non c’è nessun accenno al funerale cui ha partecipato, tenendo per mano Berta. Che è successo?






6.       

La solita strada, percorsa la mattina per accompagnare i bimbi alla fermata del bus, non sembra uguale.
Fa stranamente freddo in questa mattina di ottobre che il sole non riesce a rallegrare. Le prime foglie secche si staccano dagli alberi scivolando lentamente a terra. Nei campi le pannocchie sono già state raccolte da tempo e rimangono solo i monconi attaccati alle radici, che devono seccare prima di essere levati dal terreno. 
Sofia non riesce a mettere a fuoco le figure. Le parole delle donne le arrivano ovattate, quasi sommesse, senza la solita eccitazione. Forse stanotte non è successo nulla d’importante, nulla di cui parlare.
Sofia si fa forza, avvicinandosi al consueto gruppetto ma vede che nulla è diverso dagli altri giorni, se non nel suo cuore.
Le donne sono sempre lì che ridono e parlano, e in lontananza vede Berta che controlla la strada e le persone, guardando con insistenza l’orologio, quasi a verificare che tutti siano al posto giusto nell’ora giusta.
Nella casa di fronte, dalla finestra aperta, escono delle voci concitate. E’ la moglie di Toni che gli urla di smettere di fare il farfallone e di usare finalmente degli slip normali. I bambini passano vicino alla loro casa ma ormai non s’interessano più ai loro litigi. Oggi sghignazzano e si danno gomitate nel vedere due cani amoreggiare senza vergogna ai bordi della strada.
«Mamma, hai visto?» accenna sbalordita Lisa.
«Sì, mamma… Guarda che fanno i cani!» sogghigna Marco, già preso dal clima cameratesco dei bambini del paese.
Poi tutti esplodono in una risata che si blocca di fronte alla casa di Berta.
«Bambini, voglio ordine e disciplina! Non tutta questa disorganizzazione. State andando a scuola, non alle giostre.»
L’armonia è ripristinata, il pulmino arriva e carica i bambini, mentre le donne si dirigono come al solito all’Emporio. Tutto normale, tutto sistemato. Ma Sofia ha un peso sullo stomaco.
Entra nel locale e senza preamboli chiede ad alta voce a rivolgendosi a tutti: «Chi è Mauro? E dov’è Maria?»


  1.  


«Sofia, cosa prendi? Il solito?»
«No, Silvio. Non sono venuta per la colazione.»
«Ciao, Sofia. Tutto bene con i lavori? Mi spiace averti trasandato in questi giorni invece di aiutarti.»
«Ciao, Vanda. No, non va per niente bene.»
«Che hai? Sei sostipata? Allora dico a Silvio di preparare un tè invece che il cappuccino.»
«Sì, Sofia. Siediti qui con noi.»
«Sai cosa ha combinato Toni?»
«Ieri ha visto una ragazza alla fermata dell’autobus e…»
«Ma mi ascoltate? Ho fatto una domanda. Vanda, Silvio, ragazze.»
«Ecco il tuo tè, spero vada bene.»
«E si è fermato e le ha detto che lui era la soluzione ai suoi problemi!…»
«Toni? Ma scherzi?»
«Sì! Si è presentato così.»
«E lei che ha fatto?»
 «Non voglio il tè. Non voglio sapere che ha fatto Toni” sbotta Sofia.
«Lei gli ha detto di cominciare con il risolvere i propri, di problemi!»
«Ahahah, non cambierà mai, povero Toni.»
Sofia si volta in direzione dell’uscita, sbattendo contro una sedia che non aveva visto, ma scorge, da dietro la porta di servizio, le due ombre ormai conosciute.
Si avvicina, incuriosita. Le voci che provengono da dietro sono sommesse ma con un po’ d’attenzione forse può cogliere qualcosa.
«… bisognava controllare, prima…»
«… ero sicuro… tutto pulito… niente tracce…»
«… è pericolosa… ridurla al silenzio…»
«… ci penso io…»
«… stavolta senza tracce…»
Istintivamente Sofia si ritrae, anche se da quelle frasi frammentate non ha capito molto. I pensieri si muovono vorticosamente e un crampo allo stomaco, seguito da un leggero capogiro, la fa impallidire.
«Silvio, il tè è ancora disponibile?»
«Certo, piccola. Bevi, e rilassati. Sei pallida.»
Sofia beve, e non si accorge che attorno a lei è rimasto il vuoto.
«Ti senti meglio?»
«Sì. Grazie Silvio. Sei gentile, tu.»
«E’ un piacere esserlo con una bella donna come te» sussurra con dolcezza, mentre si avvicina ammiccando.
Approfittando del momento di confidenza, Sofia ritorna sull’argomento.
«Chi era Mauro?»
«Lascia stare, Sofia. Non t’impicciare. Adesso vado, che ho un sacco di cose da fare.»

La stradina è diventata larga, immensa. Il sole è velato da nuvole che prima non aveva notato. Forse pioverà. Anche Vanda si è allontanata, senza dire nulla, quindi probabilmente nemmeno oggi andrà ad aiutarla nelle faccende di casa.
Sofia si siede un momento sulla panchina, quella davanti alla casa gialla, quasi per riprendere fiato dopo una corsa. Una lacrima, scendendo, le solletica la gota. Non ce la fa da sola a badare a tutto e, se non arriverà una risposta per quel lavoro, anche i soldi tra un po’ cominceranno a essere un problema. Odia pensarlo, ma forse Donna Laura aveva ragione: questo non è il posto adatto per lei e i bambini. Alle sue spalle, un rumore la fa sussultare. La porta di una casa si spalanca e Berta esce, con le mani sui fianchi, ad affrontare Sofia.
«Che credi di fare con le tue domande? Ti ho intimato di non interferire. Ora non è più possibile transigere, basta. Nessuna ulteriore defezione alle mie direttive sarà accettata.»
«Chi è lei da potermi ordinare questo? Voglio sapere di Maria.»
«Perché? Era una ragazza sfortunata, bisognosa d’aiuto. Non c’è altro da aggiungere.»


  1.  


I bambini sono rincasati appena in tempo. In lontananza si vedono i nuvoloni scuri avvicinarsi, sospinti da un forte vento. Il pranzo consumato insieme, poi i bambini si rilassano un po’ davanti alla televisione, prima di iniziare i compiti. Di solito dopo aver mangiato giocano in strada con i coetanei, ma oggi il maltempo che avanza non lo permette.
Sofia decide di ritentare la ricerca della verità.
«Bambini, io vado nella Casina. C’è ancora tanto da sistemare.”
«Va bene, mamma.»
«Ti aiuto, mamma?»
«No, Lisa. Sta’ pure qui con tuo fratello. C’è tanta polvere lì dentro.»
Il sole ormai è completamente oscurato. Le nuvole nere che si vedevano all’orizzonte sono arrivate. Un vento improvviso spazza la polvere sulle strade, alzando da terra delle foglie secche con piccoli vortici d’aria. Grosse gocce cominciano a picchiare la strada. Sofia socchiude la porta della Casina e si dirige senza esitazione verso l’armadio, prendendo il pacco di giornali. Sono copie di quotidiani locali, risalenti al periodo del funerale di Mauro. Li poggia sulla scrivania e inizia a sfogliarli alla ricerca di altre notizie.
Si sofferma su un articolo di cronaca locale:

“Mauro Costa, originario del Borghetto, è morto improvvisamente nella sua casa […] nessun segno d’effrazione è stato trovato. I Carabinieri, intervenuti tempestivamente, si riservano di fare ulteriori indagini […] la piccola Maria, 15 anni, in casa al momento della morte, non si è resa conto di nulla […] la ragazza resterà sotto la custodia di una vicina di casa, nell’attesa che la madre rientri da un viaggio di lavoro…”

Sofia accende la lampada sulla scrivania e allarga a ventaglio le copie di giornale nella speranza di trovare altri articoli su questa vicenda. Che Mauro fosse un uomo che importunava Maria, ormai è chiaro, ma chi era esattamente e come è morto? Sofia si ricorda di Berta che lo aveva affrontato, e della paura che aveva Maria di questo intervento. Maria nei suoi racconti non ha mai fatto cenno alla morte di Mauro.  Inoltre dove era adesso la ragazza? Di sicuro non con la madre, visto che era sparita da molti anni, come era scritto nel diario. E quell’accenno a nausea e dolori diffusi? Poteva essere l’inizio di una gravidanza, ma nei giornali non si accenna a qualcosa del genere.  All’epoca dei fatti Maria aveva quindici anni, quindi adesso ne avrà una ventina. Magra, minuta, dai capelli scuri. Non c’era nessuna persona al paese che possa somigliarle. No, sicuramente lei non è al Borghetto.

La pioggia picchia con insistenza sempre maggiore sulle finestre e sul tetto di legno. Un tuono squarcia l’aria facendo sobbalzare Sofia. Sente i bambini urlare. Non c’è tempo per cercare ancora. E’ necessario chiudere bene la Casina e stare con i bimbi.
«Mamma, dove sei?»
«La TV non funziona. Si è spenta.»
«Il vento fa rumore.»
«Mamma, ho paura.»
«Smettila di piagnucolare, Marco. Sei una femminuccia!»
«Io non sono una femminuccia. Mamma, dove sei? Lisa mi prende in giro!»
«Eccomi. Su, tranquilli. E’ solo un temporale. Tra poco tornerà la luce e potrete continuare a vedere la TV.»
Come previsto, dopo mezz’ora il temporale passa. Con la stessa velocità con cui era arrivato, così si allontana lasciando il cielo sgombro da nuvole.
«Mamma, ma la TV non funziona ancora!»
«Non ti preoccupare. Vedrai che tra poco si accenderà.»
«Mamma, ma non funziona nemmeno lo stereo. E noi che facciamo, adesso?»
«Lisa, potete fare un gioco. Anzi, mettetevi sul tavolo in cucina e iniziate i compiti che vi hanno dato a scuola. Per farli non serve né la TV né lo stereo.»
Ripristinata la tranquillità, Sofia torna alla Casina. I giornali sono ancora lì, dove li aveva lasciati. Sposta quello che aveva appena letto per soffermarsi sul successivo.
Lo sfoglia nervosamente, saltando dalle notizie nazionali, a quelle estere, allo sport per arrivare all'istante a quelle della cronaca locale.

“… le forze dell’ordine, intervenute tempestivamente su chiamata di una vicina, hanno trovato il signor Costa in cucina, seduto su una sedia, con il volto riverso sul tavolo. Al suo fianco una dozzina di bottiglie di birra, vuote.
Da un primo esame, si ritiene che la morte sia sopravvenuta per soffocamento, a causa di una bottiglia che, conficcata nella gola, ostruiva il passaggio dell’aria…”

“… è stata avviata un’inchiesta atta a chiarire gli eventi che hanno portato alla morte del signor Costa. Gli inquirenti hanno delle perplessità sulla tesi dell’incidente. La signora Alberta, vicina di casa del Costa, ha dichiarato che il defunto era solito bere direttamente dalla bottiglia, senza utilizzare bicchieri. Il signor Michele Silente, medico del vicino centro omonimo che si occupa del recupero e assistenza delle persone disabili, ha affermato di aver spesso assistito e medicato il signor Costa, vittima d’incidenti domestici causati dal suo alcolismo. Entrambi hanno sostenuto di non aver dubbi sulla tragica fatalità della vicenda…”

Berta aveva testimoniato che non c’era nulla di oscuro in quella morte, ma che necessità aveva avuto di farlo? Era questo che intendeva Vanda quando parlava della capacità di Berta di aiutare le persone in difficoltà?
Sofia non riesce a deglutire. Forse la polvere all’interno della Casina le ha seccato la gola e sente la necessità di un bicchiere d’acqua.
«Mamma, hai finito?»
«Adesso arrivo, Lisa.»
«Ci vai a prendere le lampadine? Non c’è più il sole e non ci vedo a scrivere.»
«Mamma, le abbiamo le torce, vero?»
Il vento che entra dalla porta aperta fa rabbrividire Sofia. La luce sta diminuendo: il sole è quasi tramontato ma la corrente elettrica non è ancora stata ripristinata.
Nella concitazione del trasloco, non aveva pensato alle piccole cose. Gli oggetti di uso corrente erano stati rimpiazzati, ma non aveva pensato alle torce. Non le era passato per la mente che l’avvento di un temporale l’avrebbe potuta mettere spalle al muro, in un paese ormai ostile, con il buio alle porte.
Sofia esce dalla casa cercando di pensare come fare. La notte incalza, e loro non possono passarla al buio.
«E’ la tua infantile paura del buio» diceva sempre Donna Laura con un’espressione di malcelato biasimo.
«Devo essere sicura di potermi muovere anche la notte, se i bambini si svegliano» affermava Sofia. Ma sapeva benissimo che non era così, solo che non sopportava di dover dare ragione a Donna Laura.
I lampioni nella stradina non accennano ad accendersi nonostante ormai la luce naturale sia quasi del tutto scomparsa. Il rumore regolare di qualche auto che passa sulla provinciale e l’abbaiare dei cani sono gli unici segni di vita. Perfino l’Emporio è chiuso.
Un cigolìo proviene da in fondo alla strada, e una figura avanza lentamente verso di lei pigiando sui pedali di una vecchia bicicletta senza fanale. Una persona curva su se stessa, con un cappellaccio calato in testa e degli abiti troppo grandi che rivestono un corpo magro, ondeggiando come su una gruccia appesa alla finestra.
La figura alza la testa, spostando con la mano un ciuffo di capelli che copre il viso. Sofia incrocia lo sguardo di Michele. Un’ostilità palpabile riempie lo spazio tra i due.
«Ora lo affronto» dice Sofia, cercando dentro di sé una convinzione che riesca a sostenerla. Michele non sembra intenzionato a parlare e, dirigendo la bicicletta verso la casa di Berta, sparisce dalla visuale inghiottito dall’ombra.
Un fragore alle spalle di Sofia. Poi un urlo.
«Mamma… Corri, presto!» la voce spaventata di Lisa la fa trasalire.
Sofia si precipita in casa, spalanca la porta rimanendo quasi accecata dalla luce che di sorpresa riempie le stanze. Un rumore assordante proviene dallo stereo e alla TV un mezzobusto comunica imperterrito le notizie del giorno. Lisa corre incontro e le si aggrappa, stringendola con le piccole braccia. Sofia abbassa la testa, alla ricerca dello sguardo di Lisa, ma la sua attenzione va oltre, posandosi sulle macchie rossastre sul pavimento avanti a lei, che tracciano una scia dal soggiorno fino al bagno del piano terra.
«Marco, che è successo?»
«Nulla di grave, mamma» dice il piccolo trattenendo le lacrime mentre si tampona con un asciugamano.
I piedini scalzi insanguinati. A terra dei vetri rotti.
«Gli avevo detto di non farlo, mamma.»
«Non è vero. Sei tu che volevi l’acqua.»
«Sì, ma non dovevi arrampicarti sui mobili in cucina.»
«Come facevo altrimenti a prenderti il bicchiere?»
«Adesso state buoni, bambini. Marco, fammi vedere.»
«Cosa succede qui?»
Sofia si volta.“Berta, mi ha spaventato. Come ha fatto ad entrare?»
«Hai lasciato la porta aperta. Come sta il piccolo?»
«Ha dei pezzi di vetro nel piede.»
«Va bene. Andiamo al Centro Silente.»
«Da Michele?»
«Sì, è il posto più vicino. Vedrai che sarà medicato a dovere. Chiamo Vanda che si occuperà di Lisa, tu prendi le chiavi dell’auto e vai.»
Suona strano sentire Berta parlare con tanta apprensione, e il suo intervento, così apprezzabile, non si adatta all’immagine che si era fatta di lei.
«Marco, adesso sta’ tranquillo» continua Berta componendo nel frattempo un numero sul telefono, «tra poco passerà tutto. Pronto, Vanda? Vieni subito qui… Sì, a casa di Sofia… No, non ho tempo di spiegare. Veloce!»
«Grazie, Berta. Ma non capisco perché…»
«Ancora domande. Sofia, quando la smetterai di fare tutti questi interrogatori? Ciao piccolina, sei Lisa, vero?»
«… è solo che dopo quello che mi ha detto oggi, non pensavo…»
«Questo è il tuo problema. Tu non pensi. Vai subito alle conclusioni» sentenzia dirigendosi verso la porta di casa, tenendo per mano Lisa. «La nostra discussione ora non c’entra. La necessità primaria è quella di medicare il piccolo» poi apre la porta per fare entrare Vanda.
«Ma io ho visto Michele…»
«Non amo essere contraddetta. Esegui gli ordini. Michele non è un tuo problema. Adesso va’. Qui ci pensa Vanda.»







9.       

Sofia non sa quanto è passato dal suo arrivo al Centro. Qui il tempo assume una dimensione diversa. Lunghi corridoi asettici, una luce innaturale, un odore intenso di medicinali. Il personale medico si muove velocemente. Il tempo è prezioso al Centro Silente e tutti si muovono con professionalità.
«Lasci pure le sue cose all’infermiera e mi segua.»
Sofia esegue gli ordini della Dottoressa, senza proferire parola, entrando nella stanza che le è stata indicata, dove altre persone in camice bianco stanno lavorando. Intravede solo i loro occhi, penetranti, che risaltano tra la mascherina e la cuffietta sterili. Il loro sguardo non la rassicura.
La Dottoressa prende in braccio Marco, sollevandolo dalla sedia a rotelle dove lo hanno fatto accomodare all’ingresso, e lo sistema su un lettino.
Ovunque piccole provette. La luce bianca nella sala prelievi non crea zone d’ombra e ogni più piccolo arnese, dagli aghi a strani attrezzi d’acciaio, è bene in evidenza.
«Mamma, ho paura…»
«Sta’ tranquillo, amore. Non ti farà male…»
Una luce lampeggiante, seguita da un forte sibilo, sconvolge il lavoro dell’équipe medica. La Dottoressa esce di corsa dalla stanza, abbandonando Sofia e il piccolo. Rientra dopo un po’, forse dieci minuti. L’aria tesa, gli occhi segnati.
«Scusatemi.»
Si avvicina a Marco ed esamina il piedino. Dopo averlo sterilizzato con una sostanza giallognola, prende delle pinzette e toglie i pezzettini di vetro ancora conficcati.
Sofia guarda l’orologio: non è passata nemmeno un’ora da quando Lisa ha urlato. Il tragitto fatto in auto fino a qui le è sembrato infinito. Gesti meccanici l’accompagnano nell’attesa. Svuota la borsetta in cerca di un fazzoletto di carta, poi  prende una gomma americana. Sicuramente meno doloroso che continuare a mordicchiarsi il labbro.
«Ecco fatto. Adesso metto una pomata antibiotica e poi lo fascio. Tornate tra un paio di giorni per un controllo.»
Sofia tenta di schiarirsi la voce. Forse è l’aria troppo secca.
«Crede ci sia qualche pericolo?»
«No, signora. Solo è meglio non sottovalutare mai anche le cose che sembrano banali…»

La porta della stanza si apre, e una ragazza giovane dai lunghi capelli scuri si avvicina.
«Dottoressa, il Dottor Silente la sta aspettando…»
«Sì, vado. Finisci tu la fasciatura.»
La Dottoressa si allontana con passo strascicato, come a voler ritardare l’incontro.
«Sarà una lunga notte…» annuncia la ragazza.
«Qualcuno sta forse male?»
«Signora, qui tutti stanno male!»
«Credevo fosse una Centro di Accoglienza.»
«Non proprio. Qui sono ricoverate persone con gravi malformazioni fisiche, soprattutto bambini. Diamo loro la migliore assistenza, ma purtroppo spesso non ce la fanno. Per Michele ogni decesso è un dramma. Sembra quasi che muoia una parte di lui.»
«Allora quel fischio, il segnale luminoso…»
«Sì. E’ morto un piccolo assistito. Aveva solo due mesi, come mio figlio.»
«Lei ha un figlio?»
«Lo avevo. Ma ha vissuto solo un paio di mesi. Lo hanno assistito qui dalla nascita.»
«Mamma, andiamo?» interviene Marco con noncuranza. “Lisa ci aspetta.»
«Lisa? Chi è Lisa?» chiede con un sorriso la ragazza.
«E’ la mia sorellina.»
«E non è venuta qui con te?»
«No, lei è piccola. Ha solo sei anni. E’ rimasta a casa con Vanda.»
«Vanda? Allora abiti al Borghetto.»
«Sì. In un bel posto e c’è anche una casina, vicino, con un sacco di cose dentro e poi c’è Toni che fa lo scemo e Berta che lo sgrida. Berta sembra cattiva, ma invece è tanto buona. Tu conosci Berta?»
Un leggero rossore colora il viso della ragazza, il cerotto e la garza le cadono di mano.
«Sai, è stata Berta che mi ha fatto venire qui e poi ha chiamato Vanda e ha organizzato tutto. È davvero buona, Berta. E poi sta attenta a tutto e…»
La ragazza concentra lo sguardo a terra, si china per prendere la garza, che pare invece sfuggirle di nuovo, urta il carrellino degli strumenti alle sue spalle e con un gesto istintivo allunga la mano in tempo per non farlo cadere.
«Marco. Saluta, che dobbiamo andare.”
«Ciao!»
«Buonasera, signorina. E grazie per l’aiuto.»
«Ciao, Marco. Ecco, lì in fondo c’è l’uscita. Scusate se non vi accompagno, ma devo andare. Mi ha fatto piacere conoscervi.»
Sofia osserva meglio la ragazza, mentre con passo veloce percorre il corridoio per poi scomparire dentro a una stanza: minuta, capelli lunghi, molto giovane. Potrebbe forse avere diciotto anni.
L’usciere si avvicina a Sofia e l’aiuta a sistemare Marco in auto.
«Mi scusi…»
«Sì?»
«Chi è quella ragazza? E dove abita.»
«Perché?»
«Per ringraziarla con calma. E’ stata così gentile…»
«Lei è Maria. E abita qui al Centro, ormai da cinque anni.»


  1.  


Sofia sta bene.
È in un posto luminoso, dalle tinte sfumate, dove morbidi colori pastello si fondono l’uno nell’altro come in un arcobaleno, senza strappi: il posto dove ha sempre desiderato stare.
Si sente leggera, rilassata, e l’aria rarefatta dal delicato profumo di vaniglia rende delizioso questo strano ambiente. Addosso quasi nulla, solo una leggera maglia un po’ troppo grande, che la copre fino alle natiche. Le gambe nude, i piedi scalzi, si sente leggera, quasi fosse dimagrita d’un colpo di venti chili. Saltella e volteggia dolcemente al suono di una musica che proviene da dentro la sua testa.
Lenta, una scura nebbia sale e annulla i colori che fino a quel momento l’avevano coccolata. Poi il buio, sempre più scuro.
Sofia si blocca, lì in quel posto senza nome. La musica sparisce e le gambe tornano pesanti. C’è una presenza, un’ombra in fondo. E poi una voce.
«Non è il posto per te. Vedrai che succederà. I bambini sono in pericolo…»
Dal lato opposto si ode un lamento, un pianto sommesso che lentamente aumenta di intensità. Il profumo di vaniglia lascia il posto a un odore acre. Sofia ha i piedi infreddoliti e si accorge di avere pestato delle gocce di sangue.
Ora il buio le stringe la gola. Si abbassa, oppressa da una impalpabile morsa. Il gemito in distanza si fa più nitido.
«Mamma, fa male. Ho paura…»
«… non è posto per te… vedrai che succederà… i bambini sono in pericolo…» continua la voce.
Poi una figura massiccia e sfocata si materializza davanti a lei: «… Ti avevo intimato di non indagare» e a farle eco «lei continua a ficcare il naso».
Voci provengono da tutti i lati, spinte a galla nel mare nero che circonda Sofia, intersecandosi.
«… mamma, fa male…»
«… non è posto per te… vedrai che succederà… i bambini sono in pericolo…»
«… ti avevo intimato di non indagare…»
«… lei continua a ficcare il naso…»
Sofia è raggomitolata su se stessa, cercando di sfuggire a quei richiami.
«… mamma…»
«… non è posto per te…»
«… non indagare…»
«… ficcare il naso…»
Il sudore le appiccica la maglia, il cuore è una mandria impazzita nel petto, le braccia pesanti, i piedi incollati a terra.
Poi, da un angolo, un chiarore. Una figura esile si avvicina. Una giovane donna dai lunghi capelli, con lo sguardo triste, le sorride e le tende le mani.

Sofia si sveglia di soprassalto. È sudata e il letto è sfatto. Dopo una notte di sonno tormentato, accoglie il sorgere del sole con un sospiro.
È piacevole farsi accarezzare dai tiepidi raggi che entrano dalla finestra spalancata.
Gli uccellini l’hanno svegliata, con il loro cinguettio, e lei resta immobile nel letto per qualche minuto, a osservarli. Si rincorrono da un ramo all’altro dell’albero, poi spariscono alla sua vista ma li sente ancora: forse sono giù, sul davanzale della cucina a litigarsi le bricioline che Lisa mette ogni mattina per loro.
Il clacson del lattaio, in fondo alla strada, avvisa le donne che è tempo di uscire in strada. Qui al Borghetto ogni mattina passa Luigi con il suo vecchio Apecar, un furgoncino a tre ruote, e porta il latte fresco, le uova e il pane. Niente di nuovo, stesso percorso ogni mattina: Luigi ferma l’Apecar davanti a una casa, la porta si apre, esce la signora, e Luigi consegna l’ordinazione. Sempre la stessa. Tutte le mattine. A volte passa l’arrotino, ma non così presto. Un pomeriggio è venuto pure l’ombrellaio.
Non ci sono Centri Commerciali o Beauty Farm da favola, qui al Borghetto, solo una vicina che, sorridendo, suona il campanello e porta un pezzo di dolce fatto in casa. Non ci sono nemmeno cinema o altre i attrazioni, ma nell'appartamento di fronte c’è Toni che ama aggirarsi in perizoma nel suo appartamento, purtroppo o per fortuna ancora sprovvisto di veli di qualsiasi sorta, puntualmente rimbeccato dalla giovane moglie.
Non c’è inquinamento, nessun rumore molesto. Questa è la campagna. Con il vociare dei bambini in strada o nei giardini delle case, i versi degli animali, il rumore dei trattori in lontananza.
Frammenti del sogno tornano alla mente di Sofia: la serenità turbata, le voci, l’angoscia che cresceva. E l’immagine che le ha rischiarato il buio era senza dubbio Maria.







  1.  

Il Centro, visto con la luce del giorno, ha un aspetto diverso. La sera precedente Sofia non aveva notato il magnifico parco che circonda la costruzione, e quell’aria di serenità che si respira al suo interno.
Ha deciso così, questa mattina, senza riflettere. Il desiderio di sapere l’ha spinta a salire in auto per andare da Maria. Appena arrivata, il portiere l’ha riconosciuta e l’ha fatta entrare senza ulteriori domande.
«Maria è in reparto.»
«Forse è meglio che torni dopo?»
«No, vada pure. È attesa.»
Sofia rimane stupita. Ma forse il portiere ha frainteso e lei s’incammina lungo il corridoio che aveva già percorso la sera prima. Nella concitazione non aveva notato i disegni, dentro a grandi teche di vetro appese alle pareti. Disegni infantili, a volte semplici scarabocchi. Ma speciali. 

Sofia cammina lentamente, lungo il corridoio. Stamattina ha scelto le scarpe con il mezzo tacco, al posto dei soliti mocassini, e se ne pente. Un passo dopo l’altro, poggiando con delicatezza i piedi, temendo che il rumore sul pavimento possa disturbare la quiete che regna in questo luogo.  Ma è un accorgimento superfluo, perché il pavimento pare essere di un materiale particolare, che inghiotte ogni passo senza restituire alcun rumore. Molte porte sono distribuite lungo il corridoio: tutte uguali, tutte di quel colore metallico che è definito “grigio”, tutte con una cassettina in plexiglas sul muro a lato, dove è infilata una scheda - i dati medici dei pazienti, suppone Sofia - tutte squarciate da un’irriverente apertura a vetri. Non c’è privacy negli ospedali, i medici devono poter controllare i pazienti, gli inservienti e le infermiere devono poter fare il loro lavoro di pulizia e assistenza senza troppi intralci.
Sofia avanza, osservando quasi con discrezione oltre a quelle porte. Ci sono sempre due letti in ogni camera cameretta e spesso scorge delle persone sui letti. O meglio, intravede delle forme coperte da lenzuola che lasciano solo spazio all’immaginazione. Paiono dormire, talvolta c’è qualcuno con loro.

Il corridoio termina con una vetrata, che si apre sul parco. Alberi d’alto fusto alternati a cespugli sempreverdi, una stradina senza asperità si alterna al verde ormai sbiadito dalla stagione dell’erba tagliata a prato inglese. Delle persone siedono sulle panchine sparse lungo il percorso e, al loro fianco, qualche paziente sulla sedia a rotelle.
Sofia è rapita da quanta pace possa venire da un posto dove tante persone soffrono. Alle sue spalle, il rumore di una porta che si apre.
«Sapevo saresti venuta. È nel tuo carattere.»
«… Berta!»
«Entra. A questo punto è necessario avere un chiarimento.»
Un grugnito di disapprovazione sale dall’altro lato della stanza. Non sembra la solita persona che Sofia aveva già avuto modo di conoscere, ora che ha il camice addosso e l’aspetto curato.
«Michele, nessun contrordine. Sofia è una donna in gamba. Capirà.»
«Cosa c’è da capire? Perché Maria è qui? Perché tutte quelle minacce?»
«Non la smetterai mai con gli interrogatori, vero? Tu devi ascoltare. È richiesto ordine e disciplina per gestire situazioni difficili.»
Un altro borbottio, e Michele si sposta dal tavolo dove è appoggiato dirigendosi verso la porta scuotendo la testa. Allunga la mano per afferrare la maniglia, quando la porta si spalanca di colpo.
«Maria! Ti sembra il modo di accedere in una stanza chiusa?»
«Scusa Berta. Eccovi qui. È un pezzo che vi cercavo. Buon giorno Sofia. Allora? Glielo avete detto?»
«Detto cosa?»
«Ok. Glielo dico io. Sofia: tra una settimana c’è la Sagra di Sant’Anna in città e noi facciamo anche una festa qui al Centro. Berta ha organizzato tutto, ma ci sono un sacco di cose ancora da fare. Quando ci siamo conosciute ieri sera, ho pensato che avrebbe potuto aiutarla in qualcosa. Lei è in gamba, e anche Berta lo pensa. Quindi, se le va, abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti per la festa.»
«Una festa? Scusate, ma non capisco. Io…»
L’arrivo di Maria è stato come un tornado: veloce, travolgente, sconcertante. Sofia guarda gli altri, cercando un posto cui appoggiarsi.
«Maria, hai già sistemato la vasca per le terapie di Mariolino?»
«No, Michele. Hai ragione, adesso ci vado subito. Sofia, ci vediamo presto, vero? Le altre cose gliele spiegheranno loro. Ciao Berta.»
Come era arrivata, così esce dalla stanza. La piccola Maria aveva dato a Sofia l’impressione di essere timida ed introversa l’altra sera, ma adesso sembra perfettamente a suo agio. Una gran trasformazione in così poco tempo.
«Non capisco.»
«Hai avuto l’evidenza di chi è Maria.»
«Continuo a non capire» dice Sofia, voltandosi in direzione di Michele.
«Cercherò di spiegarti evitando termini troppo tecnici. Maria ha una personalità atipica, causata da un forte trauma infantile…»
«… la nascita di un figlio!»
«È corretto. Ma questa è solo una parte del fatto.»
«Il bambino è morto, me lo ha detto lei ieri sera…»
«Mancano i dettagli di carattere prettamente medico. Non ti ha riferito come è successo?»
«No, Michele. Mi ha solo detto che aveva delle malformazioni.»
«Sì. Il piccolo non avrebbe potuto sopravvivere a causa di problemi fisici. Il feto aveva delle malformazioni congenite. Non si è sviluppato correttamente nel grembo materno e quando gli esami clinici lo hanno accertato, era ormai troppo tardi per un aborto terapeutico. Non abbiamo ritenuto necessario accertare se fosse a causa della giovane età di Maria o perché generato dalla relazione con il padre.»
«Mauro era suo padre? Ma come è morto? Perché i Carabinieri hanno indagato?»
«Sofia, le tue inquisizioni mi faranno impazzire…»
«Berta, io non volevo rivangare.»
«… Non abbiamo mai capito l’esatta dinamica dei fatti. Io quella sera mi sono recata al loro domicilio, con l’intenzione di riportare l’ordine dopo aver sentito l’ennesima sfuriata di Mauro, ma mi sono trovata di fronte una scena che non mi aspettavo. Maria era seduta di fronte al padre, al tavolo perfettamente imbandito. Era calma e appena mi ha visto mi ha invitato a unirmi a loro. Lui era riverso con la testa all’indietro e gli occhi sbarrati., il viso paonazzo e quella bottiglia in gola. Nemmeno io so dire come possa essere successo. Solo ho pensato che Maria non doveva patire ancora.»
«Ma tu, come hai fatto a scoprire tutte queste cose? Al Borghetto chi sapeva non avrebbe mai parlato.»
«Michele, forse non lo sai ma Maria aveva un diario.»
«Come? Non avevi perquisito la Casina?»
«Berta, adesso il problema è un altro.»
«Un altro problema?»
«Sì, Sofia. Maria abita qui al Centro da molti anni. L’ho aiutata nella parte finale della gravidanza e nel parto. Ha seguito da vicino i pochi giorni di vita del piccolo. Qui si sente protetta ed è anche molto utile nell’assistenza dei pazienti.»
«Ho visto quanto sia inserita bene. Ma dove sta il problema? E io cosa c’entro?»
«Sofia, dovrai imparare ad evitare tutti questi interrogatori se vuoi continuare a relazionarti con me. Io non sopporto le domande insistenti. Ascolta, per una volta.»
«Hai ragione, Berta…»
«Maria qui sta bene, ma Michele ha notato un comportamento in lei che ci preoccupa.»
«Sì. Dal giorno in cui le autorità l’hanno affidata a Berta e alle mie cure, non ha più voluto uscire dal Centro. All’inizio il motivo era il piccolo, poi ha passato un periodo di depressione. Adesso trova ogni scusa possibile per non uscire. Non vuole avere contatti con le persone del Borghetto, non parla con estranei, scappa se vede degli uomini. Insomma, sono preoccupato: si è chiusa qui come se fosse un rifugio dal mondo. L’unica persona di cui ha parlato con interesse sei tu, quindi…»
«Quindi?»
«Io l’ho aiutata con gli inquirenti, Michele l’ha seguita quando il bimbo è nato, assistendola in seguito anche dal punto di vista psicologico. Ma nessuno dei due è riuscito a portarla fuori di qui.»
«Tu sei l’unica che può riuscirci: lei ti vede con simpatia e non ha paura di te. Sei abbastanza dentro al Borghetto per proteggerla, e abbastanza al di fuori per riuscire a riportarla alla vita. Quando Berta mi ha lanciato questa idea, non ero completamente d’accordo, ma penso che possa funzionare.»
«Berta… Michele… non mi aspettavo nulla del genere. Non credo di essere in grado di…»
«Sofia, non hai capito. La mia non è una domanda: è un ordine. Tu sei l’unica che può aiutarla e lo farai.
«Ma cosa c’entra la festa?»
«Quella si terrà la prossima settimana. Michele e il suo Centro hanno bisogno di sovvenzioni. E tu aiuterai, come tutti.»







  1.  

Il sole è appena tramontato. Tutto è pronto.
Vicino al palco, allestito nel parcheggio del Centro, la moglie di Toni, eletta Miss Simpatia alla festa di fine estate, si guarda attorno, in attesa. Sposta il peso dei fiori da un braccio all’altro, il sudore le rovina il trucco, ma lei continua a sfoderare il migliore dei suoi sorrisi.
Silvio s’intrattiene con tutti, assicurandosi che gli anziani abbiano un posto a sedere, e lancia un’occhiata di rimprovero a Vanda, sempre pronta a trovare qualcosa su cui malignare.
«… avete visto le Sorelle Monetti?»
«Le zitelle Monetti, vorrai dire.»
«Sì, proprio loro. Hanno quasi sessant’ani e continuano a fare gli occhi dolci a ogni uomo mangiabile…»
«E guarda Toni.»
«Sì, approfitta che la moglie è impegnata…»
«E lo sapete che è successo ieri?»
«No, Vanda. Racconta…»
 In posizione di favore Scardi, il reporter del canale televisivo locale, controlla che la telecamera sia pronta e i fari illuminino correttamente gli invitati e il posto dove parlerà Michele. Fa tutto da solo, ma sembra competente e a suo agio.
Alcuni giovani si sono fermati vicino all’ingresso, cercando con lo sguardo un posto adatto, poi decidono di sistemarsi a fianco del buffet.
Il rumore di sottofondo, dovuto al parlottare della gente, si trasforma all’improvviso in un applauso. Sta entrando Michele.
La telecamera comincia a riprendere la scena, mentre impietose luci fanno risaltare la sua fronte imperlata di sudore. E’ a disagio, il cittadino, ma per lui e per il suo Centro questa festa è troppo importante. Deve farsi conoscere e ha bisogno di finanziamenti per andare avanti.
Vicino a lui, già sul palco, c’è Berta. E’ stata lei a proporgli tutto questo. Lui non ci avrebbe mai pensato. E subito a lei si è unita tutta la comunità: Silvio ha organizzato il palco, il buffet e ha portato tavoli e sedie; Toni ha avvicinato Scardi, conosciuto in occasione della manifestazione in cui la moglie era stata eletta Miss Simpatia, per avere un servizio televisivo; Vanda ha pensato a divulgare la notizia anche ai paesi vicini, e certamente la scelta non avrebbe potuto essere più opportuna; Berta si è occupata della parte burocratica e dei permessi necessari alla manifestazione, mandando anche degli inviti scritti a persone importanti che conosce personalmente.

Berta, da sopra il palco, si schiarisce la voce e inizia la presentazione della manifestazione. Nelle sue parole si sente tutto l’orgoglio e di quella piccola comunità.

“È con gran gioia che salutiamo il nostro cittadino, Michele Silente, che da anni si occupa con dedizione di questo Centro…”

«Se non fosse per Berta, non avrei mai conosciuto questo posto.»
«Sì, è così sperso in mezzo la campagna…»
«È questo che lo distingue: è così silenzioso e discreto…»

“… il Centro, come voi sapete, è sorto da cinque anni e da allora sopravvive grazie ai personali sforzi del suo creatore. Impegni di natura personale e anche economica…”

«Posso avere un altro po’ di vino? Grazie…»
«Signora, vuoi fare un’offerta?»
«Ma guarda che bei bambini. E voi chi siete?»
«Io sono Marco e lei la mia sorellina Lisa. Ci dai un po’ di soldi per il Centro di Michele?»
«Ma certo, piccoli…»

“… la particolare natura di questo Centro, che tra breve vi illustrerà direttamente il suo creatore, necessita di aiuti da parte di tutti.…”

«Sofia, prepara le torte.»
«Le torte? Dove sono, Silvio?»
«Nello scatolone. Le metti bene in mostra sul tavolo e raccogli le offerte.»
«Ho capito.»
«Mi raccomando, non regalarle.»
«No, tranquillo. Cercherò invece di far salire i prezzi.»
«Mamma, i soldini che abbiamo raccolto dove li mettiamo?»
«Li tiene Berta, ma adesso intanto metteteli qui. Bravi.»
«Guarda, mamma. C’è Michele che parla al microfono.»
«Sì, guarda. Che ridere! Strizza gli occhi perché la luce del fanale è troppo forte.»
«Che scema che sei, Lisa. Non si dice fanale: è un rilettore.”
«Mamma… Marco mi dice brutte parole.»
«Adesso smettetela tutti e due. Maria, ci pensi tu?»

“…Attualmente sono ricoverati ventidue pazienti, seguiti da medici e professionisti che prestano il loro servizio a titolo gratuito. Molti sono i medici volontari che si alternano in questa struttura donando il loro tempo a favore dei pazienti. Anche altre persone si occupano di intrattenere i più piccoli con attività ludico-motorie e artistiche, adatte alle loro caratteristiche fisiche…”

«Mamma, noi andiamo a giocare…»
«Non vi allontanate troppo. Restate vicino a Maria.»
«Sì, andiamo dove ci sono i giochi.»
«Va bene. Ma quando Michele finisce il discorso, vi voglio qui tutti e tre.»
«È un fanale.»
«No, è un rilettore
«Maria, vero che ho ragione io?»
«Non è vero. Maria, lei non capisce niente. È piccola, lei. Io le so le cose.»
«Su, bambini. Non litigate.»

“…io ho voluto che questo posto somigliasse di più ad una calda e accogliente casa piuttosto che a un freddo ospedale. I nostri ospiti per me sono innanzitutto delle persone, piuttosto che dei pazienti, e cerco di dare loro la cura di cui hanno maggior bisogno. Sono persone che lottano per la vita e soprattutto necessitano di amore e speranza, di uno stimolo per resistere alle avversità e al dolore che la natura ha loro inflitto. E per fare questo c’è bisogno di tutti…”

«Che bella tavola, che magnifiche torte…»
«Prego, signora. Con un’offerta per il Centro, se ne può portare a casa una…»
«Che bella idea. Ne prendi una anche tu, Giulia?…»
«No, io ho visto quei graziosi ricami sull’altro tavolino…»
«Sono in vendita anche quelli?»
«Credo di sì. Vero che lo sono?…»
«Certamente. Ma signore, per beneficenza si può acquistare l’uno e l’altro, non vi pare?»
«Lei è una venditrice nata, signora…»

Uno scroscio d’applausi segue la conclusione del discorso. Miss Simpatia si avvicina, traballando un po’ su quei tacchi altissimi, per consegnare i fiori a Michele.
Lui, il festeggiato, ringrazia distribuendo gran sorrisi e, appoggiato il mazzo di fiori, cinge Berta in un forte abbraccio. Scardi riprende tutto.
«Adesso la festa si sposta al buffet…» annuncia Miss Simpatia, mentre la musica si diffonde dagli altoparlanti conferendo alla serata un’aria ancor più gioiosa.
«Dài, bambini. Andiamo tutti al fufè.»
«Sì, Vanda. Arriviamo! Maria, dammi la mano…»
«No, Marco… io non ho voglia di venire in mezzo alla confusione. Preferisco stare qui.»
«Non puoi. Mamma ha detto che non possiamo andare in giro se non ci sei tu.»
«Maria, che storie sono queste? Lo sai che sei la bevisiter dei piccoli. Sofia si arrabbia se li lasci soli.»
«Dài, Maria… per favore… ho sete, mi prendi la coca-cola?»
«Vanda… non potresti…»
«No, no, piccola. Non mi mettere in mezzo. Ho già un fracasso di cose da badare, io.»
«Eccovi qui. Non vi avevo detto di venire da me appena Michele finiva il discorso?»
«Ciao mamma. Stavamo venendo…»
«Sofia, visto che adesso sei qui io vado dentro. Sai, non mi sento molto…»
«No, Maria. Ti prego, non mi puoi mollare così. Io devo aiutare gli altri per la festa. Eravamo d’accordo che avresti badato tu a Marco e Lisa. Dài, ancora un piccolo sforzo. Lo so che i bambini sono esuberanti, ma tra poco la festa è finita.»
«… ehi, se non vi sbrigate qui finisce tutto!»
«Ok, Vanda. Su, bambini. Andiamo!»
«Grazie, Maria.»
Sofia guarda i suoi bambini allontanarsi, tenendo per mano Maria. In questo momento non saprebbe distinguere chi sta aiutando chi. A vederli sono un bel gruppetto. Quando aveva annunciato a casa che per la festa avrebbero avuto una baby-sitter entrambi si erano lamentati. Non siamo più piccoli, aveva esordito Marco, io voglio giocare tranquilla senza impiccioni, era stato il commento imbronciato di Lisa. Ma era bastato dire il nome di Maria, che entrambi avevano cambiato idea. Marco l’aveva nominata talmente tante volte da quel giorno del piedino ferito, che a Lisa pareva fosse già una loro amica. Inoltre si era dimostrata subito così diversa dalle altre baby-sitter che avevano avuto in passato che la simpatia era nata immediatamente.
«Come vedi avevo ragione a pensare che ce l’avresti fatta.» Sentenza Berta.
«Mi avete spaventato.» rivela Sofia.
«Non ho mai visto Maria insieme ad altre persone in quel modo. Berta, mi devo ricredere. E a te, Sofia, devo le mie scuse. Questa giornata si sta concludendo con un totale successo. Non avrei mai potuto sperare di meglio. Le offerte stanno arrivando e lei… ma guardatela! È un piacere vederla lì, davanti al buffet, vicino a tutte quelle persone. Sono felice. Davvero.» Conclude Michele. E il sorriso che traspare sarebbe bastato a rendere manifesto il suo pensiero.
Il cittadino sembra un po’ meno burbero del solito.  Sofia lo segue mentre si allontana: non lo aveva mai notato prima, quel sorriso. Forse è il riflesso della luna che ha reso particolare lo sguardo di Michele. Certamente è stata solo la gratitudine, pensa Sofia, che ha spinto Michele a sfiorarle il viso con una carezza.
«Sofia, ritengo tu debba essere orgogliosa di te.»
«Sì, sono felice.»
«Dai tuoi occhi non sembrerebbe. Che è successo?»
«Berta, sei una vera detective. Non ti sfugge nulla.»
«Addestramento costante. Cos’è che ti turba?»
«Vedi, oggi mi è arrivata una lettera in risposta ad una richiesta di lavoro.»
«E…?»
«Sono stata assunta.»
«Magnifico!»
«Sì, ma adesso come farò con i bambini? E poi pensavo a Maria: l’ho osservata, durante la festa. Ho capito: devo spingerla ad uscire dal suo nido. Ho già delle idee e vorrei parlarne con te e Michele, ma… »
«Ma?»
«Tra lavoro nuovo, la casa da sistemare, Maria da aiutare, i figli… come farò a gestire tutto? Ho paura di non essere all’altezza… di deludervi tutti…»
«Adesso non ti preoccupare. Qui tra di noi ci si aiuta, c’è sempre una soluzione a tutto. Ora andiamo anche noi a divertirci. E domani mi parlerai della tua idea per Maria.»

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